Pur avendo il merito di avere promosso e di continuare a promuovere una rigorosa e documentata “operazione verità” basata su fatti e dati criticamente accertati, l’attuale dibattito politico-culturale sulla “nuova questione meridionale” necessita di una chiarificazione storico-concettuale relativa ai suoi termini costitutivi: Mezzogiorno, meridionalismo e, appunto, questione meridionale.
Infatti, gli “sguardi” che attualmente incrociano ed indagano criticamente la recrudescenza dello storico dualismo tra il Nord e il Sud del Paese, per lo più, si caratterizzano per il loro approccio sì storico, ma solo relativamente al passato recente. Approccio che viene declinato prevalentemente in termini socio-economici e giuridico-politici, come, ad esempio, nei saggi di M. Esposito, Zero al Sud e Fake Sud, giuridico-politici, M. Villone, Italia divisa e diseguale, G. Viesti, Verso la secessione dei ricchi? e Contro la secessione dei ricchi, L. Bianchi, A Fraschilla, Divario di cittadinanza, P.M. Busetta, La rana e lo scorpione, e nei Rapporti annuali della Svimez.
Così, non di rado, accade che non essendo definiti i termini costitutivi del dibattito possano nascere equivoci, come quando, ad esempio, il termine meridionalismo, che ha una sua storia, una sua genesi e un suo sviluppo ben precisi a partire dalla seconda metà del XIX secolo ad oggi, o venga fatto risalire alle analisi condotte da studiosi e politici vissuti nel XVII e nel XVIII secolo, e comunque, antecedenti l’unità nazionale, o venga addirittura identificato tout court con il termine neo-borbonici o con la parola sudismo in senso prevalentemente negativo e denigratorio.
Oppure, come quando il termine Mezzogiorno non solo viene usato solo ed esclusivamente come sinonimo di sottosviluppo ed arretratezza, ma anche come sinonimo di uno spazio geografico asettico, vuoto, privo di memoria, identità e storia, come sinonimo di uno spazio immobile nel tempo.
Oppure, infine, come quando, appunto, i tre termini in questione, Mezzogiorno, meridionalismo, e questione meridionale, sono utilizzati come sinonimi tra loro intercambiabili.
Pertanto, al fine di meglio orientarsi e di meglio contribuire allo sviluppo di un dibattito che suscita accese passioni civili, che, di per sé, tendono ad offuscare le idee, occorre iniziare ad operare anche nella direzione di una rigorosa chiarificazione storico-concettuale dei termini in questione.
Innanzitutto, bisogna precisare che l’idea di meridionalismo e lo stesso termine meridionalismo nascono dopo il compimento del processo di unificazione nazionale tra gli anni Settanta ed Ottanta dell’Ottocento e non già prima, in quanto indicano quella variegata ed articolata corrente di pensiero politico-culturale – liberali alla P. Villari, repubblicani alla N. Colajanni, democratici alla A. De Viti de Marco, socialisti alla E. Ciccotti e alla G. Salvemini, radicali alla G. Dorso, cattolici alla L. Sturzo, comunisti alla A. Gramsci –, che, nel corso della storia d’Italia, a partire da prospettive diverse ed in alcuni casi divergenti, ha tentato, con alterne fortune, di porre al centro del dibattito pubblico il problema del dualismo sociale, economico, politico e civile all’interno dello stesso Stato-nazione, in modo tale da porre le condizioni per il suo definitivo superamento.
Se i meridionalisti agitano la questione meridionale come questione nazionale in vista di un suo definitivo superamento tramite l’unificazione effettiva sul piano sociale, economica, civile e culturale delle “due Italie”, non tutti gli studiosi del dualismo Nord/Sud si sono posti nell’ottica del suo superamento, come nel caso del conservatore Pasquale Turiello e del lombrosiano Alfredo Niceforo, che, anche se per motivi diversi, ritenevano che il dualismo tra Settentrione e Meridione d’Italia non fosse superabile.
Infine, identificato tout court con la questione meridionale, il termine Mezzogiorno è divenuto sinonimo di sottosviluppo, là dove, invece, un approccio di studio corretto e rigoroso non solo dovrebbe coglierne il permanere di un’arretratezza rispetto al Nord, il suo “rimanere indietro”, ma dovrebbe anche evidenziare anche il suo “andare avanti”, ossia, le trasformazioni che lo hanno attraversato e che tuttora lo attraversano rispetto al suo passato più o meno recente.
Questo, nelle sue linee essenziali, è lo sfondo concettuale, da approfondire ulteriormente, entro cui collocare e valutare criticamente gli attuali contributi di studio e di analisi sia sul Mezzogiorno che sulla “nuova questione meridionale”, in modo tale coglierne gli elementi di continuità e discontinuità rispetto al passato.