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26 Aprile, 2024

La “secessione dei ricchi” tra il Partito trasversale del Nord e l’esigenza di un’autonoma forza politica meridionalista



A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, varata a colpi di maggioranza dai Governi di Centro-sinistra con la legge costituzionale 3/2001, si sono susseguiti e si accentuano sempre più gli attacchi radicali alla coesione sociale e territoriale, all’uguaglianza dei diritti ed all’unità nazionale del Paese, riproducendone ed accentuandone il divario tra Nord e Sud, sino a mettere in discussione il patto repubblicano di solidarietà nazionale, che affonda le sue radici ideali nelle correnti politico-culturali risorgimentali di orientamento socialista, egualitario e democratico (C. Pisacane, G. Mazzini, C. Cattaneo).

Dal 2014/2016 al 2019 – Governi Letta, Renzi, Gentiloni, Conte –, l’attacco è stato condotto anche, ma non solo, sulla base della “perversa” attuazione del federalismo fiscale. Federalismo incostituzionale, iniquo, discriminatorio ed asimmetrico sia per la mancata definizione dei livelli essenziali di prestazione (Lep), sostituiti dalla spesa storica corrente, sulla cui base sono stati e sono tuttora assegnati ingenti risorse finanziarie ai comuni settentrionali a fronte dei tanti zero assegnati a quelli meridionali; sia per la formulazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (Lea) secondo criteri del tutto funzionali agli interessi dei soli territori settentrionali – l’anzianità della popolazione che vi risiede –; sia per la mancata attivazione integrale del Fondo perequativo; sia per le scelte discriminatorie effettuate al fine di tagliare i fabbisogni riconosciuti ai meridionali sulla base della loro residenza nelle regioni del Sud.

Inoltre, tra il 2017 ed il 2019, l’attacco alla coesione socio-territoriale non solo è condotto mediante l’attuazione del federalismo iniquo e discriminatorio, ma viene anche radicalizzato attraverso la proposta d’Intesa hard tra Governo e Regioni Veneto e Lombardia e quella soft tra Governo e Regione Emilia Romagna sulla cosiddetta autonomia regionale differenziata, sulla “secessione dei ricchi”, sul “frantuma Italia

Ma bisogna fare un passo indietro ed osservare che a partire dagli anni Ottanta/Novanta, sullo sfondo dei processi di ristrutturazione capitalistici coevi alla globalizzazione ed alla costruzione dell’Unione Europea fondata sui primati del libero mercato e dell’Euro, la sistematica costruzione dell’egemonia del “pensiero unico liberista”, col suo portato di politiche di rigore finalizzate ai tagli dello Stato sociale, alle privatizzazioni, al contenimento dei salari e degli stipendi, alla disoccupazione/precarizzazione ed alla mercificazione anche di diritti basilari, quali la salute, l’istruzione e la mobilità, alla “mcdonaldizzazione” culturale ed alla radicalizzazione delle sperequazioni socio-economiche tra classi sociali, popoli e territori inter– ed infra-nazionali, in Italia si è assistito alla sostanziale cancellazione della “questione meridionale” dal dibattito pubblico, alla rimozione della consapevolezza del rapporto dialettico che è intercorso e tuttora intercorre tra lo sviluppo delle aree settentrionali del Paese ed il sottosviluppo di quelle meridionali. Consapevolezza maturata nel corso dei decenni precedenti grazie ai diversi contributi offerti dagli esponenti del meridionalismo classico, quali, ad esempio, seppure a partire da posizioni politico-culturali diverse se non divergenti, il liberale conservatore Pasquale Villari, il socialista riformista Gaetano Salvemini, il liberal-democratico Francesco Saverio Nitti, l’autonomista Guido Dorso, il comunista Antonio Gramsci ed il socialista radicale ed indipendentista Nicola Zitara.



Questione meridionale” che deve essere intesa come quel complesso di problemi sociali, economici, civili e culturali, che, dal 1861 ad oggi, seppure tra fasi storiche di maggiore “divergenza” e fasi storiche di tendenziale, se non piena, “convergenza”, almeno per quanto concerne alcuni indicatori, quali quelli relativi al “capitale sociale” (istruzione, mortalità infantile, vita media, etc.), hanno sostanzialmente caratterizzato il dualismo tra Settentrione e Meridione nel corso della sua centocinquantennale storia.

Contemporaneamente alla progressiva derubricazione/depotenziamento del dualismo Nord/Sud nella forma della “diversità” ed al suo successivo disconoscimento politico-economico sia attraverso la soppressione della Cassa del Mezzogiorno (1984) e successivamente anche dell’Ente che l’aveva sostituita, l’Agenzia per la promozione e lo sviluppo del Mezzogiorno (1992); sia mediante la cancellazione di ogni riferimento esplicito al Mezzogiorno nella Carta costituzionale (2001), cui è stato sostituito un più generico riferimento ai territori, a partire dal 1991, la progressiva ascesa della Lega Nord per l’indipendenza della Padania ha imposto a tutte le maggiori forze politiche nazionali la centralità della “questione settentrionale”.

Ed oggi, nel quadro di uno scellerato contratto di governo col MoVimento 5 Stelle, la Lega Nord è giunta ad un passo dall’attuare il suo obiettivo strategico, la “secessione dei ricchi”, proprio nel momento in cui, dissimulando la sua vocazione localistica ed il suo atavico ed originario razzismo antimeridionale, si autorappresenta, invece, come un partito di destra di orientamento sovranista/nazionalista, che riesce a raccogliere consensi anche nelle regioni meridionali.

In concomitanza con l’inizio del forte ridimensionamento delle politiche pubbliche, a cui si è successivamente intrecciato il “declino” sociale ed economico dell’intero sistema Paese, tutte le forze politiche nazionali, a partire da chi, seppure in tempi, modalità, forme e responsabilità diverse, come le attuali Rifondazione comunista, Sinistra italiana, Liberi e Uguali e Potere al Popolo, o non hanno compreso e riproposto la centralità della “questione meridionale”, della “desertificazione del Sud”, sottovalutando, in alcuni casi, anche la minaccia dei referendum consultivi tenutisi in Veneto ed in Lombardia nel 2017, o, addirittura, come nel caso del Partito democratico e di Forza Italia, hanno costituito e continuano a rappresentare dei tasselli fondamentali del “Partito trasversale del Nord”.



Probabilmente entro il quadro del progetto di costruzione di un’Europa a doppia velocità, a partire dal 2008, il “Partito trasversale del Nord” sembra avere accentuato l’attuazione di un piano strategico di uscita dalla crisi economica e del debito sovrano che, sacrificando il Sud, considerato la “palla al piede” del Paese, sugli altari degli interessi del più “virtuoso” Nord, ha sistematicamente promosso delle scelte politiche che hanno favorito la sottrazione/spoliazione/espropriazione di risorse al Mezzogiorno per favorire, di contro, l’accentramento dei residuali capitali pubblici nelle regioni settentrionali, in modo tale da meglio valorizzarne quelli privati tanto sul piano economico della produzione dei beni e dei servizi quanto su quello finanziario, tanto sul piano della tenuta della coesione sociale quanto su quello della coesione territoriale e culturale a livello macroregionale settentrionale.

All’interno delle forze politiche nazionali ed ai più diversi gradi di potere, dalle amministrazioni locali alle deputazioni nazionali, le classi dirigenti meridionali sono state del tutto supine, acquiescenti, se non del tutto assenti, rispetto alle politiche di spoliazione delle risorse, che, come nel caso della “perversa” attuazione del federalismo fiscale, hanno contribuito a riprodurre e ad accentuare il divario tra Nord e Sud, determinando, così, un modello di cittadinanza ineguale, che la “secessione dei ricchi” intenderebbe ratificare definitivamente sul piano istituzionale, secondo la distorta logica delle “geometrie varabili”.

Dal punto di vista ideologico-culturale, il dualismo viene giustifico tramite la riproduzione, sistematicamente amplificata dai media, del pregiudizio antimeridionale, dei miti relativi alla “razza maledetta”, ai meridionali “sudici”, malavitosi, parassitari ed oziosi. Pregiudizio larvatamente riproposto dalle ultime dichiarazioni del responsabile del MIUR, Marco Bussetti, in occasione della sua visita a Caivano e ad Afragola.



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