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27 Luglio, 2024

Il Sud come “colonia estrattiva interna”: le omissioni di Provenzano (PD), le contraddizioni di Boccia (PD), la lucidità di Presutto (M5S)



Oramai, il dualismo Nord/Sud e la sperequazione della destinazione delle risorse pubbliche tra le due macro aree regionali del Paese sono un dato di fatto conclamato da autorevoli centri di ricerca, la Svimez, da centri statistici nazionali, i Conti Pubblici Territoriali, da organismi internazionali, l’ONU, dai massimi organi contabili dello Stato, la Ragioneria Generale e la Corte dei Conti, accertato nelle opportune sedi istituzionali, la Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale e la Commissione Finanze, riconosciuto dalle massime cariche dello Stato, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nonché divulgato da testate giornalistiche cartacee, tra gli altri, Il MattinoIl Corriere del Mezzogiorno e Il Quotidiano del Sud con la sua fondamentale “operazione verità”, e televisive, gli speciali Italia spaccata di “Presadiretta” su Rai Tre e Divorzio all’italiana di “Report” sempre su Rai Tre.

Così come è un dato di fatto conclamato la causa fondamentale dell’acuirsi del dualismo territoriale nel corso degli ultimi dieci anni: lo “scippo di Stato” subito dal Sud da parte del Nord, in concomitanza con l’affermazione della “questione settentrionale” nell’ambito dell’egemonia del “pensiero unico” liberista, con la conseguente attuazione del paradigma economico della “locomotiva” e dello “sgocciolamento” ed il definitivo abbandono di quello incentrato sui “due motori”.

Infatti, dopo la chiusura della Cassa del Mezzogiorno (1984) ed il progressivo disinvestimento in infrastrutture di sviluppo al Sud (0,15% del Pil nazionale nel quinquennio 2011-2015), a partire dal 2009, su base annua, ai 21 milioni di cittadini meridionali, che corrispondono al 34% della popolazione nazionale, sono stati destinati 290,9 miliardi di spesa pubblica allargata pro-capite lorda, a fronte dei 352,4 che spetterebbero loro di diritto. In termini percentuali, al 34% della popolazione italiana che risiede nel Mezzogiorno si destina ogni anno il 28,3% della suddetta spesa.

Insomma, il 6% in meno al Sud, circa 60 miliardi l’anno, che il “piede di porco” della spesa storica drena verso i territori centro-settentrionali, dove risiedono circa 40 milioni di abitanti, ossia il 65,7% della popolazione dell’intero Paese, a cui, invece, è destinato il 71,/% della spesa pubblica allargata pro capite lorda.

Dunque, a dispregio dell’Articolo 3 del nostro dettato costituzionale, grazie anche al silenzio assenso delle classi dirigenti meridionali, le forze politiche nazionali hanno messo su un meccanismo perverso di redistribuzione delle risorse, un vero e proprio “Robin Hood alla rovescia” che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Così facendo sono stati azzerati, dimezzati e depotenziati le strutture ed i servizi preposti per il godimento dei più basilari diritti sociali e civili dei 21 milioni di cittadini italiani che risiedono al di là del Garigliano: asili nido, tempo pieno, prolungato e mense scolastiche, bus e treni locali, strade, autostrade e frecce rosse, assistenti sociali e sanitari, medici di base ed ospedalieri, docenti di scuola ed universitari, etc.

L’“abolizione” del Mezzogiorno dall’agenda di Governo di tutte le forze politiche nazionali ha determinato il collasso del “secondo motore” economico dell’Italia, con il risultato di fare entrare l’intero Paese in stagnazione (crescita PIL 2019/2020 0,4%), con il Settentrione che galleggia appena al di sopra della linea della “palude” (0,5%), mentre il Sud vi si immerge sempre di più (0%). Insomma, il “coccodrillo si è affogato” per sua miope ingordigia.

Rispetto all’acuirsi del divario e delle diseguaglianze territoriali che minano sempre più l’unità politica e la coesione del Paese, nel presentare il suo Piano per Mezzogiorno, il Ministro per il Sud e vicedirettore della Svimez, il dem di origini siciliane Giuseppe Provenzano, non solo omette il particolare del “tutto influente” del decennale “scippo di Stato”, ma si limita a promettere le “briciole di sempre e ai piani che rimangono sulla carta”. Il solito “trucco” delle “risorse tante e disponibili dall’anno successivo, mai da quello corrente”. Chissà cosa ne pensa il suo maestro, il “padre nobile della Svimez”, Adriano Giannola.

Diversa nella forma ma uguale nella sostanza la posizione del compagno di Partito di Provenzano, il dem di origini pugliesi Francesco Boccia, Ministro per gli Affari regionali e le autonomie.

Infatti, pur riconoscendo a manca e a destra lo “scippo di Stato” subito dal Sud, Boccia, che, durante gli ultimi mesi di vita del Governo giallo-verde, è stato tra i più strenui oppositori al regionalismo differenziato, ora si è convertito in uno dei più convinti “crociati” delle autonomie regionali rafforzate richieste dalle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, anche a costo di perpetuare la “leva di porco” della spesa storica.

Nonostante il no al suo ddl quadro sul regionalismo differenziato espresso da Italia Viva, LeU e M5S, pur di portare l’acqua al mulino dei poteri forti di questo Paese e pur di assecondare le tentazioni “eversive” del suo compagno di Partito, il Governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, Boccia non accetta la sua “bocciatura” da parte dei suoi alleati di Governo e rilancia: “Sull’autonomia basta perdere tempo. Il PD può andare avanti anche da solo”.

Andare da solo verso un riforma che, come ha argomentato il costituzionalista Massimo Villone, non offre nessuna garanzia di merito e di metodo per la tenuta unitaria dell’intero Paese, a partire dall’attivazione delle politiche di perequazione e riequilibrio a vantaggio delle regioni meridionali.

In questo contesto, la posizione più lucida e coerente contro il tentativo d’istituzionalizzazione definitiva della condizione del Sud come “colonia estrattiva interna” è quella espressa di recente dal Senatore pentastellato di origini napoletane Vincenzo Presutto, che, in opposizione al tentativo di fuga in avanti di Boccia, ha detto a chiare lettere che per attuare la riforma non solo  bisogna definire prima i Lep, ma bisogna anche riconoscere piena centralità al Parlamento.

Confutato il “mito del Sud sprecone”, rimane ancora da porre la questione della restituzione di quanto indebitamente sottratto al Mezzogiorno in termini di spesa pubblica per le infrastrutture civili, materiali ed immateriali. Per ora il problema è stato sollevato da intellettuali ed attivisti meridionalisti, l’economista siciliano Pietro Massimo Busetta, autore del famoso testo Il coccodrillo si è affogato, l’accademico federiciano Giuliano Laccetti, tra i protagonisti della mobilitazione culturale e civile contro il regionalismo discriminatorio, e il coordinatore del Sud Conta Giovanni Pagano.

Come ha osservato Busetta: “Il 2020 sia l’anno in cui il popolo meridionale la smetta di essere ancillare e servo silente rispetto ad un Nord bulimico e pigliatutto. Parità di doveri e di diritti, un Paese che finalmente si riunifichi dopo i disastri degli ultimi 160 anni! Quindi subito i LEP e la perequazione infrastrutturale! Ma subito non tra …. anni! E riconosciamo gli ascari dei partiti nazionali che si piegano agli interessi elettorali dell’Emilia Romagna o del ricco Nord. Che schiava di Roma Iddio la creò… non dei leghisti veneti o padani o degli interessi del Pd nazionale!”

03/01/2020 – Salvatore Lucchese



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