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Napoli
7 Dicembre, 2024

Perché il diluvio universale cominciò a Napoli



Questo articolo fa parte di una serie di articoli dedicati alla città di Napoli, dagli occhi di chi la vive ogni giorno per lavorarci e incontra sempre anime meravigliose sul suo cammino.
Se non avete letto il primo articolo, vi consiglio di cliccare qui .

 

Oggi a Napoli pioveva.

Tutti quelli che sono ci sono stati una volta sanno che a Napoli la pioggia, anche se poca, genera una sorta di panico diffuso. Gli automobilisti dimenticano come si guida, la gente non sa più camminare né attraversare la strada, i fossi per terra riempiti d’acqua sono nemici mortali e invisibili dei guidatori che quindi si sentono sempre in pericolo.
Tutto questo si riduce un poco quando il temporale è estivo e quindi almeno non fa troppo freddo e ci si può muovere comunque, senza lamentarsi troppo.
L’altro giorno a Napoli ci sono arrivata con la pioggia. Erano tutti vestiti leggeri, scarpe aperte, senza ombrello, chi lo guarda il meteo a luglio? A Napoli poi.

Dalla stazione di Porta Nolana a corso Umberto, passando sotto la ‘porta’, si attraversa una zona molto particolare: per un breve tratto pedonale (escludendo i motorini, che a Napoli hanno quasi libero accesso anche nelle case e nei ristoranti) si incontrano tutti negozi indiani, di bijuteria e chianchieglieria, pieni di stoffe e vesti colorate, così stracolmi che la merce la espongono in strada alla meglio, arrangiandosi come sempre.

Le puttane ci stanno sempre, orario continuato, pioggia sole luna e diluvi inclusi. Le signorine (come le chiama papà) stanno sedute o in piedi, truccate o struccate, bionde e more, bianche e nere, parlano lingue che non capisco o stanno al cellulare.
Che cosa cerca su google una prostituta?
Mentre ci passavo davanti, pensavo ai loro sguardi sui passanti, su di me. Mi invidiano? Vorrebbero la mia vita? Gli piace quello che fanno? Hanno vergogna? Non credo. Cosa pensano della loro storia? Escono il sabato sera con le amiche? Cosa pensano della loro vita? Del fare l’amore e dell’avere un bambino?
Pochi metri tra quei fianchi pronunciati e vestiti attillati, tante domande che non posso fargli e poi cambio prospettiva, mi dirigo verso Forcella e le signorine sono subito sostituite da odore di cibo, carburante, spazzatura e ovviamente caffè.

Porta Nolana, Napoli

I volti dei commercianti sono un po’ afflitti quando piove, i negozi sono piccoli al centro storico quindi potersi muovere e girare per le strade è fondamentale. Questo, unito al fatto che i clienti sono di meno, può essere frustrante.
Fatto sta che, arrivata in piazza, la logica ordinata quotidiana era stravolta dal temporale in corso: le bancarelle non c’erano, Peppino non poteva certo rischiare di far bagnare mandolino e chitarra e quindi non c’era. Al bar, che avrebbe dovuto essere la mia consolazione, ho trovato mille clienti in fila e né Gino né Antonio ci stavano.



L’incognito l’ho visto. Con la sua giacca lunga beige, la polo scura, la valigetta in mano e il borsello a tracolla, stava sotto le impalcature della chiesa, fumava e guardava fuori, aspettando che finisse di piovere. Ho scoperto che fuma Diana rosse.
Ha i capelli brizzolati ricci e corti, gli occhi tondi, vispi, un naso un po’ largo e la bocca piccola e rosa, come una matryoshka. Un po’ ingobbito, il suo sguardo triste mi ha quasi preoccupato: certo quel giorno non aveva un posto asciutto dove potersi sedere e disegnare.
E’ andato via presto, qualche giorno dopo ho scoperto una cosa importante dell’incognito che vi racconterò.

Piazza San Gaetano

In questo giorno di pioggia ho conosciuto Beatrice. Beatrice è una ragazzina che può avere tredici o quattordici anni, magrissima, alta, riccia, con i denti un po’ sporgenti e piccoli occhi neri. Non ho capito esattamente chi siano lei e sua madre, ma penso che la donna lavori al museo, in qualche modo, probabilmente come Laura.
Beatrice ha un handicap, non so se è giusto chiamarlo così o in altro modo, in Siberia nel secolo scorso avrebbero detto che Beatrice è ‘una voluta da Dio’. E così sia.
Claudia! Piove?
Sì, piove.
E perché piove?
Perché l’acqua copre tutto, vedi? Ci sono le gocce sulle foglie e sul pavimento.
E quando smette?
Non lo so, presto credo.
A te ti piace quando piove?
Sì.
E puoi far smettere di piovere?
No
E chi fa smettere di piovere?

Tu, Bea, tu.
Io?! 

Ha riso a lungo e poi si è allontanata.

Il responsabile del complesso monumentale si chiama Roberto. Sta sempre al museo, apre, chiude, custodisce, gira per il centro storico, parla con tutti. Lo conoscono tutti.
E’ alto, robusto, ha tutti i capelli in testa, anche se qualcuno è grigio, sarà sulla cinquantina, porta gli occhiali e ha sempre la camicia.
L’altro giorno un amico è venuto a portarmi un caffè e io l’ho appellato con ‘Amò per piacere, puoi…?’
“Amò” 
a Napoli lo usiamo tutti, chi più spesso chi più raramente, quasi senza farci caso.
E’ il tuo fidanzato lui?

Nono.

E allora perché lo chiami amore? (quante volte la generazione precedente ci ha accusato di usare questo amò a sproposito?)
E’ un appellativo affettuoso, se fosse il mio ragazzo non lo chiamerei così.

E il tuo ragazzo dove sta?

E chi lo sa, ancora non l’ho trovato Robé.
Ma come, ‘na bella ragazza come te. Amore è una parola importante, seria. Forse noi maschi la usiamo più seriamente, più raramente. Io per esempio non lo dico mai, pure a mia moglie, ‘amore’. ‘ti amo’, sono preziosi, mica si possono usare così, a caso. Tutti quanti sono amore per te?
Non tutti quanti, però siccome non trovo l’amore in una sola persona, allora lo devo spezzettare. E mi rubo un po’ di amore da ognuno, una parola di qua uno sguardo di là, così a fine giornata posso dire di non avere smesso di amare neanche un secondo.
Persone diverse?

Pezzi diversi da ogni persona che nemmeno lo sa.

Ma vir’ nu poc tu. 
E si allontana scuotendo la testa.



I giorni di pioggia a Napoli sono rari, ma quando arrivano si sente la differenza. Stare per strada è fondamentale in questa città. Siamo talmente tanti che dentro gli ambienti chiusi ci stiamo stretti, ci sentiamo in trappola dopo un po’.

Ho cambiato i nomi delle persone di cui parlo, questo non l’avevo detto. Alla fine probabilmente farò leggere anche a loro tutto questo. Oggi mi aspetta qualche altra avventura, un’altra conversazione, altri mille mondi, altri mille colori.

Glossario

Ma vir ‘nu poc tu: Ma vedi un poco tu.



Claudia Nerihttps://www.vesuvianonews.it
Claudia è laureata in Mediazione linguistica a L'Orientale di Napoli, ha pubblicato il romanzo Inno Selvaggio e attivamente cura un suo blog di scrittura.

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