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11 Maggio, 2024

Gianfranco Viesti, la “secessione dei ricchi” e le élites estrattive meridionali



Dal punto di vista storico, tranne rare ma significative eccezioni, le classi dirigenti meridionali – politiche, accademiche, sociali, economiche e culturali – hanno quasi sempre ricoperto un ruolo subalterno nei confronti di quelle settentrionali, appoggiandone, sistematicamente, le politiche di spoliazione del Sud a vantaggio del Nord in cambio della promozione dei loro interessi “particulari”, quali, ad esempio, uno scranno in Parlamento, una poltrona da ministro, una sedia da sindaco o una cattedra universitaria.

Tra coloro che, coerentemente alla tradizione di pensiero meridionalista, si distinguono per uno spessore etico-civile che va nella direzione diametralmente opposta, l’impegno per la promozione del bene comune anche a discapito dei propri interessi personali, si segnala la figura e l’opera dell’economista barese Gianfranco Viesti, uno dei maggiori esponenti della mobilitazione politica, civile e culturale contro il regionalismo differenziato, meglio conosciuto come “secessione dei ricchi”.

Ed è proprio ad un saggio del 2019 di Gianfranco Viesti, Verso la secessione dei ricchi?, che si deve l’introduzione di tale locuzione riferita alla possibilità, contemplata dal Titolo V della Costituzione, di attuare una forma singolare di regionalismo differenziato.

Come lo stesso economista specifica nel suo ultimo libro, Contro la secessione dei ricchi. Autonomie regionali e unità nazionale, “La parola ‘secessione’ è usata per richiamare una separazione che, seppure non di diritto, sarebbe nei fatti. Le regioni dotate di maggiori autonomie si configurerebbero infatti come delle regioni-Stato, seppure formalmente ancora dentro la cornice nazionale. Esse godrebbero di poteri estesissimi e delle risorse per farvi fronte, anche se in modo differenziato fra di loro. Parallelamente, si avrebbe un depauperamento della capacità del governo e del Parlamento italiano di affrontare questioni vitali per i cittadini attraverso le politiche pubbliche ritenute più opportune. Ad essi rimarrebbero ritagli di competenze per i tagli di territori: L’Italia diventerebbe un paese arlecchino, confuso, inefficiente”.  

Ebbene, contro il pericolo sempre più concreto di frantumazione definitiva dell’intero sistema-Paese prima e della sua irreparabile “balcanizzazione” dopo, contro il tentativo di istituzionalizzare in via definitiva la condizione subalterna del Mezzogiorno come “colonia estrattiva interna” di un sistema-Nord sempre più miope e famelico, le élites meridionali, in modo consequenziale rispetto al loro ruolo subalterno di classi estrattive locali, tacciano, balbettano o vi accendono sopra i riflettori a secondo degli interessi e degli umori del momento, anteponendo, sempre, comunque ed ovunque, il loro misero “particulare” alla tutela del bene generale.        



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