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Napoli
2 Maggio, 2024

Volla: Due spettacoli nel week-end all’Aprea



ME SFASTERIO

Liberamente ispirato all’opera di Annibale Ruccello

Di Armando Vitae

Regia e adattamento di Nicola Laieta

7 aprile 2018-ore 20:30

Ingrasso Gratuito

LA CELLA ZERO

Da un’idea di Antonio Mocciola

Ispirato alla storia vera di Pietro Ioia

Regia di Vincenzo Borrelli

8 aprile 2018-ore 18:30

Ingresso: 10,00 euro

TEATRO MARIA APREA

Piazzale Vanvitelli n° 15, Volla (Na)

ME SFASTERIO. Nel 1986 Annibale Ruccello registrò alla Siae un “monologo in quattro parti”, riportando il titolo “Mamme” e non “Mamma”, come venne poi intitolato nella versione edita. Quattro brevi atti unici nei quali la fiaba si trasforma in delirio, cattiveria, insensatezza. Nel primo episodio (“Le fiabe”, non a caso, una rivisitazione del cunto napoletano), gli eroi di Ruccello appartengono ad una umanità ambigua, ambivalente, sporca e, per certi versi, appunto, eroica perché vinta dalla storia e dal tempo. Sono le tre eroine, tre donne in tre storie tragiche. La “Maria di Carmelo”: vita quotidiana di una donna ospite di un manicomio perché convinta di essere la Madonna, reso con la tesa ruvidità e scabrezza dei suoi deliri antichi e post-moderni insieme, ed un degradato rapporto con le suore. “Mal di denti”, tratto da “Notturno di donne con ospiti”, ovvero una mamma che nella sofferenza temporanea del mal di denti, nel giorno di Venerdì santo, scopre che la figlia Adriana è incinta; le sue considerazioni spaziano dal senso comune di vergogna/rabbia al rifiuto del pensiero di scendere di un gradino sociale (!) imparentandosi con il figlio di un operaio, fino alla tragedia del suicidio della ragazza. E infine, il monologo che chiude l’opera: “La telefonata”. In questo monologo, un’unica, lunga e concettualmente infinita telefonata la Mamma – nel preoccuparsi dei massimi sistemi dell’umanità ovvero telenovelas e gossips – quelle che oggi sarebbero l’umanità in scena delle defilippomaria e barbaradurso e dei verissimo – segue estreme ed allucinanti presenze televisive mischiate a quadretti familiari che ne vogliono imitare i fasti – e mentre fa ciò contemporaneamente bada o meglio strilla ai suoi figli e nipoti, a cui sono stati imposti nomi delle soap-opera allora in voga: Veruska, Morgana, Ursula e Isaura, in una simbolica perdita della tradizione e del rapporto con il proprio territorio fisico, e nell’iniziale transito verso quello mediale. Con: Ilaria Arra, Renato Bisogni, Giuseppe Di Somma, Giulia Menna e Pasquale Sommella.

LA CELLA ZERO. Opera ispirata alla storia vera di Pietro Ioia, è un dito puntato contro il fallimento dello Stato nella missione di rieducazione che un istituto di detenzione dovrebbe avere. Da un’idea di Antonio Mocciola, lo spettacolo, è un viaggio nell’incubo di un ragazzo napoletano, che invecchia in carcere e ne esce dopo 22 anni, trovando la forza di raccontare le vessazioni subite e le ingiustizie patite. La storia non lascia scampo, serrata e spietata, disegna tutte le traiettorie di un sistema infame e vigliacco, del tutto simile a quello che, all’esterno, produce la delinquenza quotidiana a cui assistiamo da decenni. La cella Zero diventa presto, per lo spettatore, un claustrofobico inferno di parole e gesti, di soprusi e violenze ai limiti del sopportabile, fino allo spiraglio di luce finale. Oggi Pietro Ioia è il presidente dell’associazione Ex Detenuti di Poggioreale, ed è attivissimo nella difesa di chi è ancora tra le mura del carcere, e non ha la voce per gridare il proprio dolore. Grazie al suo attivismo la cella zero nel carcere di Poggioreale non esiste più, o meglio, non è più luogo di concentrato di violenza e soprusi, a danno di chi, certo deve pagare per gli errori fatti, ma con una modalità consona alla nostra Costituzione e soprattutto ad concetto di umanità, lontano, troppo lontano. La regia di Vincenzo Borrelli restituisce ad un testo di forte impatto una messinscena dinamica, senza momenti di pausa. La scenografia si muove continuamente, portandoci ora all’interno della cella, ora a guardare la scena da dietro le sbarre, ora nella famosa cella zero, strumento di una direzione che strizza l’occhio alla regia cinematografica. I detenuti spostano la scena visti dal pubblico, metafora di un peso che questi sono costretti a trascinare con enorme fatica. Il disegno luci evidenzia piccoli particolari, indirizza l’attenzione del pubblico solo su ciò che il regista vuole si veda, i protagonisti si muovono ora in perfetta luce ora in zone d’ombra, dove il pubblico non può capire cosa fanno, quali espressioni abbiano, se abbiano intenzione di fare qualcosa o meno. Ma come spesso accade in teatro e nella vita, ciò che è lasciato all’immaginazione del pubblico è più terrificante, più difficile da digerire, di ciò che realmente si vede. Con: Ivan Boragine, Marina Billwiller, Diego Sommaripa, Pietro Ioia e Vincenzo Borrelli.



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