In vista delle elezioni europee, il Ministro Roberto Calderoli (Lega Nord) e la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni (FdI) non esitano ad anteporre le loro bandierine di partito al perseguimento del bene comune e confermano il loro patto scellerato: l’attuazione dell’autonomia differenziata, meglio conosciuta come “secessione dei ricchi”, in cambio del premierato forte.
Se le due riforme dovessero andare in porto, ci ritroveremmo a vivere in un paese Arlecchino, ma con un premier depotenziato eletto direttamente dai cittadini. Tutto e il contrario di tutto. Un mix esplosivo ed antitetico tra autonomia e centralismo, che condurrà alla definitiva frantumazione di un sistema-paese già ampiamente diviso e diseguale, proprio a partire dallo storico divario territoriale tra il Nord presunta “locomotiva” e il Sud “vagone”, abbandonato da quasi tutte le forze politiche sedicenti nazionali alla sua desertificazione demografica.
Basti pensare che, forse dimentichi di una lunga tradizione meridionalista di orientamento socialista e comunista, tra gli altri, si ricordino i nomi di Ettore Ciccotti, Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci, Manlio Rossi Doria ed Emilio Sereni, persino alcune delle forze della sinistra radicale fanno fatica anche solo a pronunciare l’espressione questione meridionale.
Questione meridionale come questione sociale, economica e politica, che, in un’ottica egualitaria di unificazione sostanziale e non solo formale del Paese, dovrebbe essere contrapposta alla questione settentrionale, la quale, invece, declinata in termini ora identitari ed ora economici, rappresenta la chiave di volta delle politiche neo-liberiste, non solo per istituzionalizzare definitivamente lo storico divario tra le due Italie, ma anche per minare definitivamente il patto costituzionale di solidarietà, elevando l’egoismo dei ricchi a nuovo pilastro fondamentale di un’Italia irreparabilmente differenziata e gerarchizzata a tutti i livelli: territoriali, sociali, economici, civili, culturali e di genere.