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27 Luglio, 2024

Gap Nord-Sud: Un Paese, due Sanità



Articolo di Carolina Errichiello – Liceo Scientifico “Brunelleschi” Afragola

Il diritto alla salute è sancito costituzionalmente come un diritto fondamentale dei cittadini. Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) ha l’obbligo di garantire un trattamento equo per tutti i cittadini, assicurando lo stesso livello e qualità di cure e servizi sanitari, indipendentemente dalla loro residenza. Per valutare se questo principio sia rispettato, vengono condotte analisi comparative tra i diversi Sistemi Sanitari Regionali (SSR) al fine di evidenziare le eventuali disparità nell’efficacia e nella qualità delle prestazioni fornite, partendo dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Ogni anno, il Ministero della Salute pubblica un report che valuta il mantenimento nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Dal 2008 al 2019, si è utilizzata la “Griglia LEA”, la quale è stata sostituita il 1° gennaio 2020 dal sottoinsieme di indicatori CORE del Nuovo Sistema di Garanzia (NSG). Il Nuovo Sistema di Garanzia (NSG) permette di valutare le prestazioni dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) erogate da tutte le regioni, considerando equità, efficacia e appropriatezza. Sebbene il NSG non fornisca un punteggio totale per valutare gli adempimenti, è stata creata una classifica delle regioni e province autonome, sommando i punteggi ottenuti nelle varie aree. Questa valutazione mette in evidenza le disparità Nord-Sud: nelle prime due fasce di punteggio non vi è presenza di regioni meridionali, mentre tra le sette regioni con adempimenti inferiori, cinque sono del Mezzogiorno. Per valutare le differenze nella qualità dei Sistemi Sanitari Regionali (SSR) e nella loro capacità di soddisfare i bisogni dei cittadini residenti, non ci si limita alla valutazione del grado di adempimento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Il C.R.E.A. Sanità ha sviluppato un indicatore composito specifico per misurare le performance dei SSR in termini di assistenza socio-sanitaria offerta ai cittadini.
Questo indicatore considera sei diverse dimensioni di performance: adeguatezza, sostenibilità economica, equità nell’accesso alle cure, risultati sanitari, innovazione e impatto sociale. La valutazione 2023 delle performance regionali oscilla da un massimo del 59 a un minimo di 30. Il Veneto raggiunge il punteggio massimo di 59, mentre la Calabria ottiene il punteggio minimo di 30. Le regioni del Nord-Est, come il Veneto, la provincia autonoma di Trento e la provincia autonoma di Bolzano, mostrano livelli di tutela della salute significativamente migliori rispetto alle altre. Le regioni come la Toscana, il Piemonte, l’Emilia-Romagna, la Lombardia e le Marche si collocano in un secondo gruppo con punteggi tra 47 e 49. Liguria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Umbria, Molise, Valle d’Aosta e Abruzzo hanno performance nel range 37-43, mentre Sicilia, Puglia, Sardegna, Campania, Basilicata e Calabria hanno punteggi inferiori a 32. La variazione delle prestazioni tra le diverse Regioni Sanitarie Regionali (SSR) è responsabile del fenomeno della mobilità sanitaria. I cittadini, soprattutto nel Mezzogiorno, tendono a cercare cure , specialmente per patologie gravi, attratti non solo da una percezione soggettiva ma anche da indicatori oggettivi di migliore qualità e performance nella erogazione delle cure.
Dal punto di vista finanziario, la mobilità sanitaria interregionale è suddivisa in mobilità attiva, che rappresenta un credito per le regioni che ricevono i pazienti, e mobilità passiva, che rappresenta un debito per le regioni di provenienza dei pazienti. L’analisi della mobilità attiva e passiva evidenzia una forte attrattività delle regioni del Nord, mentre le regioni del Centro-Sud, tranne la Toscana, mostrano una limitata capacità di attrazione. Nel periodo tra il 2010 e il 2019, tredici regioni, principalmente del Centro-Sud, hanno accumulato un saldo negativo di 14 miliardi di euro, mentre le prime quattro regioni per saldo positivo sono tutte del Nord e hanno avviato le procedure per l’autonomia differenziata: Lombardia (6,2 miliardi di euro), Emilia-Romagna (3,3 miliardi), Toscana (1,3 miliardi), Veneto (1,1 miliardi). Al contrario, le cinque regioni con saldi negativi superiori a 1 miliardo sono tutte del Centro-Sud: Campania (-2,94 miliardi), Calabria (-2,71 miliardi), Lazio (-2,19 miliardi), Sicilia (-2 miliardi) e Puglia (-1,84 miliardi).
Oltre agli impatti finanziari, la mobilità sanitaria interregionale ha un effetto significativo e diretto sui pazienti, che devono viaggiare anche per lunghe distanze per accedere a cure migliori. Questa situazione diventa particolarmente ingiusta quando riguarda la cura di patologie gravi.
Tra il 2017 e il 2021, più di 60.000 pazienti affetti da patologie oncologiche, residenti in Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, si sono recati in strutture ospedaliere di altre regioni per ricevere cure, rappresentando oltre il 45% della mobilità nazionale. I tassi di fuga e gli squilibri tra domanda e offerta regionale, soprattutto in Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia, appaiono particolarmente preoccupanti. Riguardo l’autonomia differenziata, una criticità rilevante emerge dal confronto tra l’elenco dei LEP individuati dal “Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni” (CLEP) e quello delle funzioni richieste da Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia nelle pre-intese stipulate con il Governo Gentiloni. Un confronto dal quale risulta che, in materia di sanità, l’elenco del CLEP si sovrappone a quello dei LEA, le prestazioni già di competenza regionale nell’assetto attuale. Di conseguenza, rientrerebbero nell’ambito extra-LEP, tutte le funzioni oggetto di autonomia differenziata nelle pre-intese: gestione e retribuzione del personale, regolamentazione dell’attività libero-professionale, accesso alle scuole di specializzazione, politiche tariffarie, valutazioni di equivalenza terapeutica dei farmaci, istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi. Per tutte queste funzioni, in quanto extra-LEP, il disegno di legge Calderoli prevede che «si possa dar corso fin da subito ai negoziati per il trasferimento di funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali dalle regioni che ne facciano richiesta». Di conseguenza, in tutte queste funzioni, si aprirebbero spazi impropri per la differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario.

Articolo di Carolina Errichiello – Liceo Scientifico “Brunelleschi” Afragola



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