17.5 C
Napoli
30 Aprile, 2024

“Dove è finita la questione meridionale?” Francesco Festa e Cristiano Sabino propongono una rilettura di Antonio Gramsci: il Sud come colonia del Nord



A cavallo tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, in corrispondenza con l’accelerazione dei processi neo-liberisti della globalizzazione turbo-capitalista, trasformandosi anche loro in macchine elettorali, perlopiù, i Partiti della cosiddetta sinistra radicale hanno rinunciato al loro radicamento socio-territoriale e dall’alto delle loro strutture “leggere” e fortemente gerarchizzate alla formazione di militanti consapevoli, critici e riflessivi, preferendo i portatori di tessere, i mediatori di politiche clientelari, i meri esecutori ed i  meri replicanti di dogmatici mantrici schemi elevati a realtà: uno fra tutti, la dottrinaria proclamazione dell’unità di classe a fronte delle profonde ristrutturazioni della composizione sociale, degli assetti territoriali e del “senso comune” intervenute negli ultimi trent’anni.

Anche all’interno di questi processi si colloca pure la grande rimozione della questione meridionale, che, perlopiù, nonostante l’impegno profuso da Gramsci in favore della sua soluzione, oggi viene derubricata da molti intellettuali e forze politiche di ispirazione comunista a sinonimo di reazione neo-borbonica.

Certo, da parte di alcuni esponenti e di alcune aree della Sinistra radicale non mancano i tentativi di recuperarne la memoria e di riproporla al centro del dibattito politico-culturale nel momento in cui il divario Nord/Sud si sta accentuando e sta per essere ulteriormente acuito sulla base dell’attuazione dell’autonomia regionale differenziata.

Tuttavia, sono tentativi timidi, sporadici e frammentati. Basti pensare che anche quegli esponenti della sinistra radicale che, seppure in ritardo, si stanno impegnando meritoriamente contro l’autonomia differenziata sono ancora oggi diffidenti nell’utilizzare l’espressione questione meridionale. Così facendo, di fatto, risultano subalterni al blocco sociale e al partito trasversale del Nord, che negli ultimi trent’anni, ha proceduto a quella che senza mezzi termini è stata definita la “cancellazione del Mezzogiorno”.

Di contro a questo pericoloso processo che mira a mettere radicalmente in discussione la coesione sociale e l’universalismo dei diritti nel nostro Paese, per fare della “palla al piede” del Meridione la “riserva indiana” della “locomotiva” nordista, una delle poche voci che in tempi non sospetti si sono levate contro il “golpe” dei ricchi è stata quella della piattaforma “Il Sud Conta”, che, nell’ambito del Ciclo di incontri su “Dove è finita la questione meridionale?”, ha promosso un seminario di auto-formazione su “Gramsci e la questione meridionale”, svoltosi sabato 25 maggio presso la sede del Laboratorio di Mutuo Soccorso Zero81.

All’opposto di quanto accade nelle macchine partito che, tranne alcune rare eccezioni locali, evitano i momenti di confronto partecipato, il seminario si è svolto sotto forma di circle-time, per favorire, attraverso l’orizzontalità della condivisione di prospettive storiografiche, di analisi teoriche e di prassi politiche, la formazione di soggettività critiche, dialogiche e riflessive. Grazie alle relazioni di due autorevoli ricercatori indipendenti, il Napoletano Francesco Festa e il Sardo Cristiano Sabino, è stata recuperata dall’oblio la lezione gramsciana sulla questione meridionale.

A partire da una lettura del pensiero dello studioso sardo incentrata sulle griglie interpretative foucoltiane e saidiane, Festa ha evidenziato l’importanza di leggere la questione meridionale sulla base del “materialismo geografico”, per evidenziare la costruzione della subalternità del Mezzogiorno non solo a livello socio-economico ma anche a livello culturale.

Incentrando la sua relazione su un accorto recupero storico-critico-filologico degli scritti teorici e di quelli politici di Gramsci, alla stessa conclusione è giunto anche Sabino, che ha evidenziato la presenza costante nel pensiero gramsciano della corrispondenza del rapporto di dominazione che intercorre tra operai e capitale con il rapporto coloniale che intercorre tra Sardegna, Sicilia e Sud, da un lato, e Stato centralizzato e Nord, dall’altro.

In sintesi, grazie ad una rilettura del pensiero di Antonio Gramsci sottratto all’interpretazione di comodo “togliattiana”, ancora oggi prevalente tra gli storici e le formazioni politiche eredi del PCI, è emersa la necessità di interpretare la questione meridionale nei termini dello sfruttamento territoriale e del dominio coloniale sia sociale che politico-culturale. Sfruttamento e dominazione giustificati sulla base della rappresentazione dei meridionali come “barbari” e “selvaggi”.

Un immagine che attualmente serve a giustificare la costruzione del federalismo estrattivo, iniquo ed asimmetrico che le Regioni “ricche” del Nord intendono imporre a quelle “povere” del Sud per istituzionalizzarne l’inferiorità costruita nel corso della lunga storia “unitaria”ed alimentata da precisi dispositivi sociali, economici, politici e culturali.

Un progetto, quello del “golpe” di Stato dei ricchi, che conferma la funzione e le rappresentazioni subalterne e mistificatorie di un Sud “assistito”, “incivile”, “corrotto” e “fannullone” rispetto ad un Nord presentato in modo altrettanto mistificatorio come “virtuoso” e “laborioso”. Dunque, la risposta italiana in chiave etnico-liberista alla “Grande crisi” non nasce oggi, ma affonda le sue radici in un plurisecolare rapporto di sfruttamento, dominio e subalternità, che diviene sempre più chiaro, visibile e palese. Un progetto che, figlio dei tribali cuori di tenebra del profondo Nord, potrà essere contrastato soltanto da una forza politica meridionalista capace di coniugare, come ci ha insegnato Gramsci, le lotte per l’uguaglianza, l’emancipazione e la giustizia sociale con le lotte per il riscatto della propria dignità storico-culturale.

27/05/2019 – Salvatore Lucchese

 



Potrebbe interessarti anche

Ultimi Articoli