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19 Marzo, 2024

Ecco come siamo diventati così soli



A pochi giorni dalla morte di Zygmunt Bauman, a pochi giorni dall’inizio della mia presenza online come scrittrice, mentirei se dicessi che l’idea e le domande sulle molteplicità dell’io non stanno diventando più insistenti dentro di me.

Nel 2018 sono poche le persone che non sanno ancora quanto siano diverse le relazioni fisiche da quelle sviluppate sui social network. Brevemente potremmo dire che ciò che offre uno sguardo di trenta secondi (vi invito a ponderare due sconosciuti che si fissano per mezzo minuto e ricordarvi l’ultima volta che l’avete fatto) non potrà essere euguagliato da 24 ore di chat.

Nel linguaggio verbale le parole rappresentano forse il 10% di tutto il messaggio, poi ci sono il tono di voce, la velocità della pronuncia, la forma della bocca, la postura, lo sguardo, i movimenti etcetera, etcetera…

Questo per spiegare perché sia così semplice creare relazioni online quando nell’offline si fallisce miseramente. Ciò che non possiamo adesso ignorare è quanto spesso l’esistenza individuale sia molto più piena sui social network che nella realtà, di cui questi ultimi dovrebbero solo essere lo specchio e invece ne diventano un abile Photoshop.

Nelle scienze che studiano il linguaggio e la comunicazione c’è una cosa che si definisce ‘faccia positiva’, che si contrappone alla ‘faccia negativa’: la prima rappresenta ciò che ci spinge ad essere accettati, benvoluti, approvati dagli altri. La seconda è il nostro bisogno urlante di essere indipendenti, diversi, unici.

La loro co-esistenza quasi inconscia, un po’ come l’Id e il Super-io freudiani, è alla base della nostra comunicazione, degli atti linguistici che compiamo ogni secondo, delle specifiche frasi che decidiamo accuratamente di dire o non dire, dell’impulsività talvolta dannosa, talvolta catartica.

La dopamina che generano i like su Facebook, gli hearts su Instagram, la visibilità dei nostri profili nutre al contempo il nostro bisogno di essere amati perché abbiamo qualcosa in comune con gli altri e quello di essere amati perché siamo unici. Com’è possibile?
La vera domanda è: Amati da chi? Amati per chi siamo dove, quando? Non è difficile confondersi.

Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo

“Ci sono molti modi di essere umani .” Zygmunt Bauman l’ha detto riferendosi alla nostra scarsa capacità di accettare l’altro, di pretendere dagli altri quello che ci aspettavamo, di andare in tilt nel momento in cui l’uomo ci dimostra di poter cambiare, di poter contestare le nostre certezze, di avere ragione dicendoci ‘HAI TORTO’.Se è vero che l’equilibrio delle cose esiste nel mezzo, io dico che non è tanto il mezzo ad essere importante, quanto la nostra consapevolezza del punto in cui ci troviamo in base a dove vogliamo arrivare.

 

L’uomo non è autosufficiente, ma mira ad acquistare sempre più uno spazio isolato, dove non debba dar conto agli altri, dove essere libero. Ma essere liberi nella solitudine è come essere un Re in una nazione senza popolo.

Se vogliamo guardarla dalla prospettiva di questo costui, io, tu, tutti coloro che non sono lui, sono un ostacolo al suo quieto vivere. “Alla fine l’indipendenza porta a una vita vuota, priva di senso, e ad una completa assoluta inimmaginabile noia.” Il nostro Bauman porta la nostra attenzione su quanto sia sottile la linea che divide il nostro rifiuto delle differenze altrui e la solitudine. Perché la verità è che la risposta alla nostra faccia negativa, a quella positiva, al Super-io, all’Id è sempre la stessa: vivere di inter-dipendenza e non di indipendenza.

Estremizzando il concetto, niente sarebbe accaduto su questa terra, niente esisterebbe, se l’uomo non avesse messo alla prova se stesso attraverso i dubbi suscitati dagli altri, dalla società, questa cosa tanto meschina di cui facciamo parte che in realtà non fa altro che generare, giorno dopo giorno, un equilibrio tra tutte le parti di ogni cosa.

Bauman dichiara che ciò che combatte la solitudine definitivamente non è altro che l’Amore, partendo dal suo scopo riproduttivo necessario alla specie, al fatto che sia diventato tale perché è l’esempio più alto dell’essere umani. Esso è la sicurezza di una persona che cresce con te, che combatte con te e contro di te tutte le battaglie che rendono la vita degna d’esser vissuta, che vi mettono alla prova.

Dal mio punto di vista l’amore è essere consapevoli di guadagnare qualcosa di grande dall’altro, senza la paura della consapevolezza che perderemo altrettanto.

Amare, comunque lo si voglia intendere, significa interdipendenza. Riuscire a metterci in dubbio partendo dall’amare noi stessi, dal coraggio di dirci da soli ‘HAI TORTO’, è il punto di partenza da cui generare tutto il resto.

Claudia Neri

 



Claudia Nerihttps://www.vesuvianonews.it
Claudia è laureata in Mediazione linguistica a L'Orientale di Napoli, ha pubblicato il romanzo Inno Selvaggio e attivamente cura un suo blog di scrittura.

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