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19 Aprile, 2024

Alexander und Dedalus. Silloge di Bartolomeo-Theo Di Giovanni



Ci sono momenti in cui il poeta ama ritirarsi in un antro lontano e misterioso, è lì che i vaticini   di Hermes diventano versi. La parola è la prima forma della creazione, l’assenso o il dissenso è il primo atto che diviene nel mondo, se si  pensa al mito di Elena di Sparta,  al SI di questa a Paride, non sarebbe successa la  guerra di Troia, quindi ogni parola ha un peso specifico,  ed il poeta è l’operazione che ci fa comprendere quanto possa pesare una parola sia detta che scritta.

Essere poeti è una grande responsabilità, la poesia funge da denuncia sociale, si deve sdoganare la poesia dalla frontiera costruita ove potrebbe rimanere entro i confini di un linguaggio melenso, e che elenca una serie di sensazioni pseudoamorose.

La poesia, e ce lo insegnano i grandi, è la discesa nella parte più oscura di sè stessi, dove risiede il principio noumenico della luce, che attraverso il coraggio, diviene fenomeno luminoso.

Che ci sia un legame con l’Amore è innegabile, ma non è l’amore in sè che viene declinato in versi, bensì la capacità di porre sugli altari poetici il sentimento e tutto ciò che ne deriva.

E’ stata pubblicata da poco tempo una raccolta di silloge dal Titolo “Alexander und Dedalus” di Bartolomeo-Theo Di Giovanni, che ha già in attivo diverse pubblicazioni, che spaziano dalla  poesia stessa,  alla filosofia alla pedagogia.  Giuseppe Maggiore, direttore della rivista Amedit,  ha espresso il suo pensiero circa le opere ed il poeta, ne riportiamo una parte.

 “Theo, un caro amico, ed un grande poeta,  non teme di far leggere la propria pelle al mondo, ma in lui non ci sono solo emozioni, c’è la costante rivelazione di una ricerca metafisica e metapsichica, infatti nei suoi versi, da considerare come chiavi di lettura del sapere esoterico, il lettore può ricavarne elementi di studio, in questa silloge Theo ci consegna parti del suo vissuto, a cuore aperto. Non a caso, da molti critici letterari, anche stranieri è considerato il Vate, sì la sua poesia è profetica, è l’anticipazione di eventi futuri, egli con occhio arguto coglie  i cambiamenti della società, del modus operandi, pertanto, può ritenersi una sorta di Sibilla che si esprime in versi, c’è anche quella capacità intuitiva quale dono ricevuto dalla vita stessa, che egli chiama “La Benedetta maledizione della empatia” ossimoro che dichiara tutto il senso di questo viaggio. Quindi versi che non si esauriscono nella semplice narrazione di un vissuto terreno, di un amore carnale, di semplici incontri, di relazioni come siamo usi a vivere e recepirli, da questi amori riesce ad estrarre un sentire più profondo con richiami alchemici-esoterici, infatti gli amori dei poeti sono qualcosa di altro.”

Ma Theo, soprannominato PoetaScalzo44, (cosi’ battezzato dall’ artista e amico Luigi Montanino) cosa pensa della poesia, della sua poesia? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui:

“Ringrazio per la promozione a Poeta e addirittura Vate, ma sono un imbrattacarte, una persona che ama la nuda terra, che ama sentire sia il calore rovente che il gelo della vita, scrivo, forse per esigenza, forse per amore, per donare qualcosa al mondo, non ho mai ricercato una definizione, agisco con impeto e passione, mi immergo nel foglio bianco per trovare quel qualcosa utile alla vita, amo soprattutto leggere la poesia, tra i miei amori c’è Alda Merini, Rimbaud, Majakovskij, Rilke, Holderlin, Novalis, Petrarca, Patrizia Valduga, e non può mancare Dante.

Edito anche per vendere, e quel che ricavo lo spendo per far felice qualcuno che non ha mai ricevuto neanche un piccolo regalo. C’è tanta gente bisognosa, e vedere due occhi felici è il panorama più bello della vita. Non ho mai nascosto dolori, gioie, forse mi sono aperto un pò troppo, cosa che mi ha causato non pochi problemi. Alexander und Dedalus, e ancor prima Fotosintesi itinerante, sono delle raccolte dove si evince un drastico cambiamento esistenziale. Mi sono reso conto di essere tornato indietro di venticinque anni, quel ragazzo ventenne, esile, (di esile adesso ho solo i peli della barba), introspettivo, di poche parole, una conquista anelata, sofferta, ma concretizzata. Ho sempre amato le sfide, soprattutto con me stesso, nel 2015 sono andato via dalla Campania, non per mia decisione, ma destino ha voluto, e forse per mia insistenza.  che  ritornassi,  anche in luoghi a me cari, dolorosi sì, ma amati, infatti è proprio attraverso il dolore che sviluppiamo la capacità di amare, e soprattutto la consapevolezza  che ogni amore deve passare dalla sofferenza. Sono stato vicino alla morte, ma probabilmente non mi ha sopportato e mi ha sbattuto a calci verso una nuova vita. Oggi sono qui, e nonostante il periodo difficile che stiamo vivendo, non ho nessun timore, di quarantene ne ho vissute già qualcuna, sono abituato a certe cose, mi dispiace per chi si lascia assalire dal timore, dal terrore, quando si ritorna dal tunnell si vive diversamente.Oggi mi sento di ringraziare chi mi ha sostenuto, ringrazio i miei lettori, i traduttori, Olga Ravchenko, Consejo Nacional de Escritores Independientes di Città del Messico,  Maria Teresa Liuzzo, direttore della rivista “Le Muse”, Teresa Ester Espsosito, Michele D’Avanzo, Nino Velotti, sono persone con le quali ho collaborato e continuo a collaborare.

Ci auguriamo che dopo questo periodo di pandemia, Theo, possa ancora una volta incidere le sue parole sui territori vesuviani, tanto amati e declamati nelle sue opere.



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