Dopo la crisi del Governo Conte bis, l’incarico di formare un nuovo Governo di legislatura assegnato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Mario Draghi sta suscitando negli ambienti meridionalisti reazione opposte rispetto ad un quesito cruciale di fondo: Per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), Draghi scommetterà sulla locomotiva Nord o farà leva sul secondo motore Sud?
Rispetto a tale domanda si passa dalla certezza che Draghi investirà sul Sud, certezza espressa, ad esempio, dal Direttore del Quotidiano del Sud, Roberto Napoletano, e dal Presidente della Svimez, Adriano Giannola, al timore, sempre a titolo esmplificativo, che, invece, l’ex Presidente della BCE possa fare il contrario. Timore palesato dal Presidente del Partito del Sud, Natale Cuccurese, e dall’economista Gianfranco Viesti.
A sostegno dell’ipotesi che Draghi possa riuscire ad utilizzare i fondi del PNRR per garantire il riequilibrio Nord/Sud si può citare un’affermazione dello stesso Presidente del Consiglio incaricato, quando nel 2009, in qualità di Presidente della Banca d’Italia, disse: “L’Italia cresce solo se cresce il Sud”.
Ma a sostegno dell’ipotesi opposta si può citare un’altra affermazione dello stesso Draghi, quando nel 2007, sempre in qualità di Presidente della Banca d’Italia, rispetto al dualismo Nord/Sud in ambito scolastico osservò: “Al Sud i divari nei livelli di apprendimento sono significativi già a partire dalla scuola primaria, tendono ad ampliarsi nei gradi successivi: un quindicenne su cinque nel Mezzogiorno versa in una condizione di ‘povertà di conoscenze’, anticamera della povertà economica. Il ritardo si amplia se si tiene conto dei più elevati tassi di abbandono scolastico. L’esistenza di un divario territoriale così marcato mostra che il problema non sta solo nelle regole, ma anche nella loro applicazione concreta”.
Ebbene, se Draghi riconosce che il Sud versa in una condizione di “povertà di conoscenze, anticamera della povertà economica”, è anche vero che sembra individuarne la sua causa ultima nella cattiva applicazione concreta delle “regole”, ossia delle norme generali che regolamentano l’istruzione pubblica, che al Nord sarebbero “applicate” in modo corretto, mentre al Sud sarebbero “applicate” in modo sbagliato.
A prescindere da una visione meramente tecnicistica dei processi educativi, la posizione di Draghi implicherebbe che il dualismo Nord/Sud rispetto ai livelli d’istruzione sarebbe ‘colpa’ dell’amministrazione periferica meridionale e degli enti locali del Sud.
Insomma, la solita tesi, ancora oggi predominante, del Sud inefficiente ed inefficace responsabile dei suoi problemi, e “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, e non già quella di un’iniqua distribuzione delle risorse pubbliche a tutto svantaggio dello stesso Sud e a tutto vantaggio dell’onnivoro Nord.
Certo, dagli anni in cui Draghi ha rilasciato queste dichiarazioni ne è passata di acqua sotto i ponti – dall’operazione verità sulla ripartizione territoriale della spesa pubblica italiana alla crisi economica globale indotta dall’emergenza pandemica – e la stessa Unione Europea, di cui Draghi è uno dei maggiori esponenti a livello mondiale, sembra volere garantire la riunificazione delle “due Italie” in un’ottica di coesione sistemica e di apertura euro-mediterranea.
Nel dubbio che il nascente Governo Draghi possa considerare gli investimenti al Sud come “debito buono” o all’opposto come “debito cattivo”, tutte le forze meridionaliste non abbassino la guardia e facciano rete per continuare a mobilitarsi, incalzare e proporre soluzioni adeguate alla nuova questione meridionale. La posta in gioco è elevatissima.