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18 Aprile, 2024

Partito Democratico, federalismo fiscale e regionalismo estrattivo. Il Sud che conta non si fida ed è pronto a “fischiare”



Nell’ambito dell’“operazione verità” lanciata dal Direttore del Quotidiano del Sud (QdS) Roberto Napoletano, in un’intervista rilasciata allo stesso giornale il 15 agosto 2019, Antonio Misiani, responsabile Economia del PD e capogruppo dello stesso Partito nella Commissione Bilancio del Senato, dopo essersi soffermato sugli eventuali sviluppi della crisi di Governo, ha dichiarato che la “ricetta per il Sud” consiste nel rilanciare gli “investimenti oltre il 34%” attraverso l’istituzione di una “cabina di regia nazionale”.

Non sono mancate da parte del Senatore i riferimenti critici ai “governatori di Lombardia e Veneto”, che “per anni – sottolinea Misiani – hanno alimentato un vittimismo esasperato e aspettative miracolistiche, raccontando ai loro cittadini la favola che con l’autonomia avrebbero trattenuto sul territorio il 90% delle tasse azzerando il cosiddetto residuo fiscale”.

Inoltre, rispetto all’attuazione del federalismo fiscale, Misiani ha dichiarato che: “A dieci anni di distanza un Paese serio si interrogherebbe su cosa ha funzionato e cosa no e rimetterebbe mano all’assetto della finanza territoriale, possibilmente con un disegno organico”.

In effetti, come hanno dimostrato gli studi di Marco Esposito, Zero al Sud, i dati pubblicati dai centri di elaborazione che fanno parte del Sistema Statistico Nazionale, in primis, i Conti Pubblici Territoriali (CPT), i rapporti di organi tecnici dello Stato, come la Ragioneria generale, le ricerche della Svimez e, appunto, le inchieste giornalistiche del QdS, nel solo quadriennio 2014/2017, rispetto al parametro della popolazione residente, 21 milioni di abitanti, che corrispondono al 34% della popolazione nazionale, al Mezzogiorno è stato destinato soltanto il 28,3% della spesa pubblica allargata.

Costituzione alla mano, il 6% indebitamente sottratto ai “poveri” territori meridionali tramite la “leva di porco” della spesa storica è stato drenato verso i relativamente più ricchi territori settentrionali. Un vero e proprio “Robin Hood alla rovescia”, che, nel solo quadriennio 2014-2017, ha espropriato il Sud di circa 240 miliardi di euro, determinandone, in barba al principio di uguaglianza, non solo l’azzeramento e il dimezzamento dei più basilari diritti civili e sociali, ma anche la perdita di circa 300 mila posti di lavoro, la recessione economica (-0.3% nel 2019) e l’intensificarsi della desertificazione industriale e demografica (2 milioni di emigranti dal 2002 al 2017).

In soldoni, contrariamente ai clichés ancora oggi ricorrenti, i ricchi campano sulle spalle dei poveri, le persone in salute su quelle dei malati e come è stato dimostrato da uno studio recente dei CPT, per il solo 2017 nelle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna la spesa media statale pro-capite è stata di 16.630 euro, a fronte, invece, di 12.531 euro pro capite in Campania, Puglia e Sicilia. Ben 4.099 euro di differenza per spiegare e comprendere il diverso livello quantitativo e qualitativo dei servizi tra Nord e Sud. Diversità che, invece, di solito viene imputata esclusivamente alla corruzione ed alla cattiva efficienza delle amministrazioni meridionali.

Dunque, rispetto al quadro sin qui tratteggiato, le osservazioni di Misiani sono corrette sia nel merito che nel metodo. Tuttavia, colpiscono alcune omissioni, che potrebbero minarne la credibilità politica.

Innanzitutto, occorre ricordare che la riforma del Titolo V della Costituzione, sulla cui base le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno richiesto un maggiore numero di poteri, funzioni e risorse finanziarie al punto tale da configurare, come hanno sottolineato i costituzionalisti Massimo Villone e Giuseppe Tesauro e l’economista Gianfranco Viesti, un progetto “eversivo”, un “colpo di Stato” se non una vera e propria “secessione dei ricchi”, è stata varata nel 2001 a colpi di maggioranza da parte del Governo di Centro-sinistra presieduto da Massimo D’Alema, con l’obiettivo, come ha osservato lo stesso Villone, di recuperare consensi in vista delle elezioni politiche poi vinte dal Centro-destra. L’interesse “particulare” e di “bottega” surrettiziamente elevato ad “interesse generale”, sul cui altare sacrificare l’unità nazionale e la coesione sociale e territoriale come orizzonte ideale dell’azione politico-culturale. Una scelta gretta, miope e regressiva.

Dopo l’approvazione della legge Calderoli 42/2009, gli esponenti settentrionali del PD, grazie anche al complice silenzio di tutti parlamentari e di tutti gli amministratori locali meridionali, sono stati tra i maggiori artefici della “perversa attuazione del federalismo fiscale”, che, come ha ampiamente dimostrato Marco Esposito, dal 2011 al 2019, ha assegnato tanti zeri al Sud, a partire dal Governo Monti (2008-2012), per passare attraverso i Governi Letta (2013-2014), Renzi (2014-2016) e Gentiloni (2016-2018), sino al primo Governo Conte (2018-2019), al cui termine, grazie ai 5S si è registrata un’inversione di tendenza con l’eliminazione degli zeri per asili nido e trasporti al Sud.

Inoltre, sempre come ha evidenziato Villone, le Pre-Intese con il Veneto e la Lombardia a guida Lega e con l’Emilia Romagna a guida PD sono state siglate in sordina dal Governo Gentiloni a quattro giorni dalle elezioni, quando lo stesso era rimasto in carica per il solo “disbrigo degli affari correnti”.

Infine, sempre per quanto concerne il regionalismo differenziato, la richiesta non è stata avanzata soltanto dalle Regioni governate dalla Lega, il Veneto da Andrea Zaia e la Lombardia da Attilio Fontana, ma, come è noto, anche dall’Emilia Romagna governata dal dem Stefano Bonaccini.

E se le richieste variano per il numero di materie e funzioni – 23 il Veneto, 20 la Lombardia e 16 l’Emilia Romagna – è anche vero che sia per quanto concerne il metodo – sigla delle Pre-Intese con il Governo Gentiloni di fatto delegittimato, proseguimento delle trattative a “porte chiese” con il ministero degli affari Regionali dell’“amica” Erika Stefani, leghista, ruolo marginale e meramente ratificatorio del Parlamento –; sia per quanto riguarda le questioni di merito – legalizzazione della spesa storica quale “piede di porco” dello “scippo di Stato” subito indebitamente dal Mezzogiorno, attuazione di un “colpo di Stato” attuato attraverso la sottrazione agli organi centrali di risorse, poteri e funzioni relative a materie pilastro per garantire l’identità, l’unità e la coesione nazionale, quali, la scuola, le infrastrutture ed i beni culturali –, le bozze emiliano-romagnole hanno la stessa portata “eversiva” di quelle lombardo-venete, sintetizzabile nella formula: sempre più risorse ai “ricchi virtuosi produttori” del Nord e sempre meno risorse ai “terroni assistiti” del Sud e tutti i poteri, o quasi, alle Regioni estrattive.

Rispetto alle responsabilità storico-politiche del PD le dichiarazioni di Misiani, così come quelle recenti di Renzi – “maggiore autonomia ai Comuni”, anziché ai “consiglieri regionali (Il Sole 24 ore, 1° settembre) –, potrebbero prefigurare un’ammissione di “colpa” propedeutica ad un cambiamento di rotta, una “discontinuità” sull’autonomia regionale differenziata, che rilanci la centralità della questione meridionale in chiave nazionale ed europea.

Tuttavia, sia gli “eloquenti silenzi” sul Mezzogiorno e sul regionalismo differenziato da parte del Segretario nazionale del PD, Nicola Zingaretti, sia le dichiarazioni contraddittorie del responsabile del Mezzogiorno per il PD, Nicola Oddati, che, da un lato ha riconosciuto che “il Nord è stato favorito a danno del Sud” (QdS, 24 agosto) e dall’altro ha presentato le succitate Pre-Intese “eversive” emiliano-romagnole come la base di “una proposta di autonomia equilibrata” (QdS, 24 agosto) vanno in ben altra direzione.

Come, ha evidenziato Villone, riferendosi agli Stati generali del PD sul Mezzogiorno, in mancanza di atti concreti si tratta di “chiacchiere di tabaccai” (La Repubblica – Napoli, 6 agosto) o di lacrime da coccodrillo “affogato”, che, coerentemente all’organicità del PD al “Grande Partito Trasversale del Nord”, celano la volontà di proseguire nel percorso di attuazione del regionalismo iniquo, estrattivo e discriminatorio con la complicità dell’ala nordista presente nel M5S, che ha rilanciato l’attuazione dell’autonomia regionale differenziata nelle sue proposte di governo, prima inserendovi la definizione dei livelli essenziali di prestazione (LEP) e poi eliminandone ogni riferimento nella proposta di governo sottoposta ai suoi attivisti sulla Piattaforma Rousseau.

Ma come ha sottolineato l’autore di Zero al Sud, Marco Esposito, in un recente post pubblicato sulla sua pagina personale di facebook proprio dopo l’esito della consultazione sulla Piattaforma Rousseau: “Ora viene il bello e il difficile. Io, per quanto mi riguarda, non mollerò la presa sulle cose che ritengo preziose. E quindi stop all’autonomia dopata, fosse pure in salsa emiliana. E basta con i diritti zero al Sud. Tutti siano avvisati: abbiamo imparato a fischiare”.

Dunque, senza fare sconti a nessuno, il Sud che conta – centri di ricerca, associazioni, comitati, movimenti politici, sindacali ed imprenditoriali, stampa locale ed in parte nazionale – continuerà a “fischiare”, ossia, a vigilare, a mobilitarsi ed a proporre soluzioni concrete e fattive per riequiparare e riequilibrare lo storico divario Nord/Sud in un’ottica sociale, partecipativa ed euro-mediterranea.

I diritti e la dignità dei 21 milioni di cittadini italiani che risiedono al Sud del Garigliano non possono essere oggetto di negoziati e mediazioni al ribasso. Piuttosto, anche per quanto riguarda il regionalismo differenziato, il PD, il M5S e lo stesso Presidente del Consiglio Giuseppe Conte diano un segno tangibile di “discontinuità” garantendo: 1. l’azzeramento delle Pre-Intese “eversive”; 2. il proseguimento dell’operazione verità, così come avviata dalla Presidente della Commissione Finanze della Camera Carla Ruocco (M5S); 2. la restituzione delle centinaia di miliardi di euro di spesa pubblica allargata indebitamente sottratti ai diritti dei cittadini meridionali; 3. la copertura integrale del Fondo di perequazione contemplato dall’attuazione già in corso del federalismo fiscale; 4. la revisione dei criteri di ripartizione dei fondi nazionali per la salute, la ricerca e l’università, troppo sbilanciati sugli interessi e sugli appetiti egoistici del Nord; 5. la definizione dei LEP in chiave egualitaria e solidale, nonché dei fabbisogni standard sulla base dei bisogni effettivi delle popolazioni locali; 6. il rispetto della soglia del 34% per i prossimi investimenti pubblici ed il rilancio degli investimenti produttivi a partire dalle infrastrutture materiali ed immateriali di sviluppo nel Mezzogiorno.

Insomma, più che “discontinuità”, occorre una vera e propria “frattura epistemologica”, che determini il passaggio dal paradigma della “locomotiva” e del “Grande Nord” al paradigma dell’attivazione dei “due motori”. Il primo, la “locomotiva”, sta facendo ristagnare il Paese, facendo galleggiare il Centro-Nord (PIL 2019 +0,3%) sulla spalle del Sud (PIL 2019 -0,3%), mentre il secondo, i “due motori”, rilanciando il Sud favorirebbe anche la ripresa economica dell’intero sistema-Paese.

Come a questo proposito ha osservato Napoletano (QdS, 3 settembre): “Pd e M5Stelle si liberino della sindrome della camicia verde, prima Bossi ora Salvini, e non ripetano con l’autonomia differenziata l’errore del federalismo fiscale. Sbagliare si può, perseverare è diabolico”.

04/09/2019 – Salvatore Lucchese



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