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29 Marzo, 2024

Mezzogiorno, meridionalismo, questione meridionale



E, soprattutto, non possono non venirgli in mente la noia autentica, se non la nausea e la vera e propria crisi di rigetto che, venate spesso di più o meno amabile degnazione o, talora, di qualche riflesso – come dire? – razzistico, mostrano al solo sentir parlare di meridionalismo, i non meridionali […]

Tuttavia, la questione è pur lì […]. Se con la congiura del silenzio o con l’esorcismo del rifiuto potessimo risparmiarci di pensarvi, sarebbe già un bel guadagno. Purtroppo, non è così, e lo sanno tutti: anche quelli che ne sono stufi.

(Giuseppe Galasso, 1978)

 

L’acceso dibattito politico-culturale sulla “perversa” attuazione del federalismo fiscale e sulla “secessione dei ricchi” ha avuto il merito di riaccendere i riflettori sul divario Nord/Sud, dopo decenni in cui, a fronte della centralità della “questione settentrionale”, il problema era stato marginalizzato, se non del tutto rimosso, dall’“agenda politica e dall’attualità politica nazionale”.

Si pensi, che nel 2001, in occasione della riforma del Titolo V della Costituzione, varata a colpi di maggioranza dai Governi di Centro-sinistra, fu eliminato ogni riferimento al Mezzogiorno, per sostituirlo con una più generica indicazione ai “territori”.

Dopo decenni di marginalizzazione e di eclisse dei problemi del Mezzogiorno “non solo negli interessi dell’opinione pubblica, bensì anche, e soprattutto fra gli studiosi”,  non è una caso che la riproposizione di temi e lo stesso uso di termini collegati al dualismo Nord/Sud, quali quelli fondamentali di Mezzogiorno, questione meridionale e meridionalismo, non è esente da equivoci e da incomprensioni.

Ad esempio, non sono rari i casi in cui nell’attuale dibattito pubblico il termine meridionalismo viene identificato tout court con le posizioni dei neo-borbonici, o, addirittura, mediante un capzioso slittamento semantico da meridionalismo a Meridione, con il pericolo della costituzione di una Lega Sud del tutto speculare alla Lega Nord.

Così come, ancora oggi, non sono pochi i casi in cui si tende a risolvere ed a dissolvere la storia del Mezzogiorno nella storia del meridionalismo, restituendoci la rappresentazione di un Sud “immutabile come le pietre”, di un Meridione sempre e solo arretrato e sottosviluppato.

Un altro slittamento semantico è quello relativo all’identificazione dei termini meridionalismo e questione meridionale, come se porre l’accento sul divario Nord/Sud corrisponda automaticamente ad impegnarsi per il suo superamento e non possa, invece, anche andare nella direzione opposta di una sua giustificazione, come non solo mostrano le posizioni di alcuni studiosi della questione, ma anche quelle della Lega Nord, che ha alimentato e continua ad alimentare il mito razzista delle “due civiltà”, superiore al Nord ed inferiore al Sud.

Dunque, occorre fare chiarezza, cercando di definire il significato dei termini questione meridionale Mezzogiorno, e meridionalismo, che sono sì tra loro collegati, ma posseggono anche una propria autonomia di significato, che non li rende immediatamente assibilabili gli uni agli altri.

Innanzitutto, dal punto di vista storico, l’espressione questione meridionale indica quel complesso di problemi sociali, economici, culturali e civili che hanno caratterizzato e tuttora caratterizzano il dualismo tra Nord e Sud nell’ambito dello Stato unitario, in contraddizione “con il suo compito di unificare e potenziare il processo di sviluppo generale del paese, di trasformare e rinnovare la vita nazionale anche là dove essa presentava particolari resistenze e punti di inerzia”. Pertanto, sin dalle origini, la questione meridionale si connota come questione nazionale per quanto concerne la sua portata, le sue cause e le sue conseguenze.

Inoltre, il dualismo Nord/Sud ha una sua storia di “divergenze” e “convergenze” a secondo degli aspetti che se ne prendano in considerazione.

Rispetto a quelli economici, riassumibili nel Pil pro-capite, nei primi venti/trenta anni della storia d’Italia, il divario non era molto netto, per divenirlo, invece, a cavallo tra ’800 e ’900, in concomitanza con il decollo industriale del Paese. Successivamente, dagli gli anni della Grande Guerra sino agli anni ’50, la divergenza si è accentuata sino a raggiungere un massimo negativo del 51%. Durante gli anni del boom economico e dell’interventismo statale, rappresentati dall’Iri e dalla Cassa per il Mezzogiorno, tende a diminuire sino al 36% nel 1971. Successivamente, in corrispondenza con le politiche liberiste e con il declino economico dell’intero sistema Paese, tende di nuovo ad aumentare attestandosi al 45% nel 2017.

Invece, rispetto agli indicatori relativi al cosiddetto capitale sociale – istruzione, mortalità infantile, vita media, emancipazione femminile, associazioni no-profit, etc. –, la tendenza è stata quella della piena convergenza verso le regioni centro-settentrionali, anche se negli ultimi anni si sta assistendo ad un aumento della “divergenza”, ad esempio, sia rispetto all’aspettativa di vita, tre anni in meno al Sud, sia rispetto al livello di scolarizzazione dei ragazzi meridionali: 79,2% delle Regioni del Sud e il 73,3% nelle isole, a fronte dell’82,9% del Nord-Ovest, l’85,3% del Nord-Est e l’85,2% del Centro.

Tuttavia, la storia del Mezzogiorno non può essere ridotta alla storia della questione meridionale, ossia alla storia del dualismo col Settentrione, rispetto al quale, effettivamente è “rimasto indietro”, ma deve essere ricostruita e raccontata pure a partire dal suo passato, rispetto al quale, è “andato avanti”.

In altri termini, la storia del Mezzogiorno deve essere ricostruita sulla base di una duplice prospettiva di analisi, che, allo stesso tempo, ne colga il rimanere “indietro” nell’andare “avanti”, ossia l’arretratezza nel cambiamento, e l’andare “avanti” nel rimanere “indietro”, vale a dire, il cambiamento nell’arretratezza. Sul piano culturale, cogliere la sola arretratezza, il solo rimanere indietro, oltre a non corrispondere appieno alla realtà storica, genererebbe pessimismo ed il pessimismo “rende immutabile lo stato delle cose”. Di contro, cogliere soltanto il cambiamento, l’andare avanti, non solo ci restituirebbe una rappresentazione altrettanto distorta della realtà storica, ma indurrebbe anche ad un facile ottimismo, che nel rimuovere le contraddizioni, contribuirebbe anche esso a rendere immutabile lo stato delle cose.

A partire dall’assunzione di questa prospettiva tesa a cogliere l’“avanti” nell’“indietro” e, viceversa, l’“indietro” nell’“avanti”, è possibile cogliere le caratteristiche esterne ed interne allo stesso Mezzogiorno.

Un Meridione che si configura come una realtà socio-economica e politico-culturale del tutto uniforme ed omogenea se confrontato con il Nord, mentre si presenta diversificato al proprio interno sia per ragioni di carattere geo-storico, in primis le differenze tra il Sud insulare e quello peninsulare, sia per le diverse caratteristiche sociali, economiche, politiche e culturali che lo attraversano nello spazio e nel tempo, innanzitutto sia quelle relative al Sud delle città e a quello delle campagne, sia quelle che si riferiscono al Sud dell’industria e a quello dell’agricoltura.

Inoltre, proprio per tendere ad una visione complessa ed articolata del Mezzogiorno, la sua storia non può essere identificata con la sola storia del meridionalismo, che, sul piano precipuamente storiografico, ne costituisce una delle più importanti fonti di ricostruzione, che, tuttavia, per la sua parzialità e, in alcuni casi, faziosità deve essere necessariamente comparata criticamente con altre fonti. Dunque, il meridionalismo va compreso sullo sfondo della storia del Sud Italia e, viceversa, questa va compresa anche, ma non solo, sulla base del primo. La loro identificazione è il frutto di un’ipostasi storiografica, che finisce con l’identificare il reale, i concreti processi socio-economico-politico-culturali con le sue rappresentazione ideologiche.

Nel suo complesso, il meridionalismo può essere considerato come un vasto, variegato ed articolato movimento politico-culturale, che, a partire dal secondo ’800, ha alimentato il dibattito pubblico sul dualismo Nord/Sud, ponendo l’accento ora sui suoi aspetti sociali, ora su quelli economici, ora su quelli civili e culturali, con l’intento di superarlo o, quanto meno, di mitigarne gli effetti negativi.

Lungi dall’essere un’autonoma ideologia politica, o una connotazione specifica della cultura meridionale, ci sono stati meridionalisti di origine centro-settentrionale, così come meridionali antimeridionalisti, il meridionalismo, piuttosto, è il frutto di diverse culture politiche – liberale, socialista, democratico-radicale, comunista, cattolico-sociale e democristiana –, che, soprattutto nell’età liberale ed in quella giolittina, a partire dalla denuncia del problemi del Mezzogiorno, si sono costituite come una delle poche voci di opposizione critica alle politiche governative. Ma al meridionalismo di opposizione si intreccia anche quello di governo, che nel secondo dopoguerra diverrà egemonico grazie alla SVIMEZ ed alla Cassa del Mezzogiorno.

Sebbene articolato al proprio interno tra accentratori ed autonomisti, regionalisti e federalisti, tra liberisti e protezionisti, tra conservatori e progressisti più o meno radicali, il filo conduttore che accomuna i diversi esponenti di questo importante movimento politico-culturale della storia d’Italia consta nell’evidenziare i vari aspetti e le varie forme del divario Nord/Sud, prospettandone diverse soluzioni politiche all’interno dello Stato unitario, senza mai mitizzare il Regno delle due Sicilie.

Pertanto, chi nell’attuale fase storico-politica si richiama al meridionalismo democratico e radicale lo fa ricollegandosi, consapevolmente, ad una tradizione di analisi e pensiero critico, che, nei decenni precedenti, ha contribuito ad attenuare il divario Nord/Sud, senza mai scivolare su posizioni secessioniste o di mera rivalsa etnico-territoriale. Lo fa ricollegandosi alle ragioni ideali del meridionalismo classico, che, a vario titolo ed in diverse forme, ponendosi come coscienza critica delle classe dirigenti, ha partecipato al processo di democratizzazione dell’intero Paese.

Nell’età della globalizzazione e dei populismi, in assenza delle forze politiche progressiste che hanno contrassegnato il “secolo breve”, questa variegata ed articolata tradizione di pensiero necessita di essere ripresa ed attualizzata, facendo leva sulle forze tras-formative presenti nel Mezzogiorno in movimento, per costruire una soggettività politico-culturale capace di porre di nuovo la questione meridionale come questione nazionale ed oggi anche europea, nell’ambito del tentativo della costruzione dal basso di modelli radicalmente alternativi di forme di socialità, governo e sviluppo.

Di contro, proprio in una fase in cui si sta radicalizzando il tentativo di attuazione di un federalismo iniquo e discriminatorio, la rimozione del meridionalismo classico, rimozione che, sul piano ideologico-politico, costituisce uno dei tasselli fondamentali dell’acuirsi del divario Nord/Sud, sortirebbe l’effetto contrario di alimentare la presa egemonica di alcuni filoni identitari dell’attuale neo-meridionalismo, questi sì speculari alla Lega Nord.

29/03/2019 – Salvatore Lucchese



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