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19 Aprile, 2024

Laboratorio Zero81: “Nicola Zitara, marxista, meridionalista, indipendentista”



Mentre alcune forze della sinistra radicale si ostinano a non riconoscere la centralità della questione meridionale, in collaborazione con “Il Sud Conta”, presso il “Laboratorio Zero81” di Napoli proseguono gli incontri di approfondimento sulle tematiche meridionaliste. Dopo il seminario dedicato ad Antonio Gramsci, ieri pomeriggio si è tenuto quello dedicato a Nicola Zitara, singolare figura di intellettuale militante e marxista eterodosso, autore di numerose pubblicazioni dedicate all’analisi del dualismo Nord/Sud, tra cui L’invenzione del Mezzogiorno, ed animatore della rivista “Quaderni calabresi”.

Introdotti da Serena De Simone i relatori, Lidia Zitara, giornalista, Fortunato Cacciatore, docente di Storia della filosofia presso l’Unical, e Lorenzo Terzi, archivista e giornalista, hanno posto l’accento sul testo zatariano L’unità d’Italia. Nascita di una colonia, evidenziandone la genesi politico-culturale, le fonti, dal meridionalismo classico agli studi di Samir Amin, e l’impostazione metodologica di tipo storico-critico-analitica, incentrata sulla dialettica generale/particolare.

A partire da prospettive e da competenze disciplinari diverse, i relatori hanno posto l’accento sull’interpretazione zitariana della questione meridionale come relazione dialettica tra “sviluppo” e “sottosviluppo”. Interpretazione che lo distingue sia, come sottolineato da Cacciatore, dalle letture marxiste progressive e finalistiche degli stadi dello sviluppo capitalistico, letture incentrate sulla categoria quantitativa di arretratezza, sia, come evidenziato da Terzi, dalle interpretazioni che individuano le cause del dualismo Nord/Sud nella storia d’Italia e d’Europa del XIII secolo.

Invece, come hanno concordemente sottolineato i relatori, secondo Zitara, nel contesto storico del secondo Ottocento, caratterizzato dal possesso di colonie esterne da parte dei grandi Stati europei, a partire dall’unificazione risorgimentale, lo Stato borghese italiano si è costruito la sua “colonia interna” nella “sub-nazione meridionale”, relegandola in modo strutturale e permanente ad una condizione di “sottosviluppo”, che, attraverso i consumi e la fornitura di manodopera, ha dovuto garantire lo  sviluppo” della “sub-nazione settentrionale”.

Ne segue, evidenzia Cacciatore, l’accusa di “moralismo” che Zitara muove alla tesi gramsciana relativa alla costruzione del blocco storico rivoluzionario operaio-contadino, in quanto non tiene conto delle differenti condizioni materiali che dividono le classi lavoratrici settentrionali da quelle meridionali.

Moderato da Lucia Borneo, durante il dibattito gli interventi di Giovanni Pagano (“Il Sud Conta”) e Ciro Esposito (Comitato “G. Salvemini”) hanno evidenziato come la lettura del Mezzogiorno in termini di “colonia interna” conduca il marxista eterodosso Zitara su posizioni meridionaliste di chiaro orientamento separatista ed indipendentista, volendo egli garantire, allo stesso tempo, sia l’emancipazione delle classi subalterne dallo sfruttamento capitalistico che la liberazione del Mezzogiorno dalla sua “strutturale” condizione di “sottosviluppo”.

Dopo la nozione di “materialismo geografico” desunta dalle letture “orientaliste” e storico-critiche del meridionalismo gramasciano, entrambe incentrate sulla corrispondenza del rapporto dialettico “lavoro/capitale – territorio/Stato”, il confronto con Zitara offre alla “cassetta degli attrezzi” del neomeridionalismo radicale la conferma della lettura della dualismo Nord/Sud sulla base di un duplice livello di sfruttamento e di oppressione: capitalistico e coloniale, sociale e territoriale.

Come tradurre queste categorie in un coerente programma di azione politica meridionalista di orientamento antiliberista, radicale e comunista? E, soprattutto, quale soggettività politica se ne farà carico per ridare voce ad un Mezzogiorno non solo “senza contratto” ma addirittura privo di rappresentanza?

A primo acchito, colpisce la corrispondenza, certo tutta da approfondire, della dialettica socio-territoriale “sviluppo/sottosviluppo” rispetto alla costruzione dell’attuale federalismo estrattivo, asimmetrico, iniquo e sperequato, che, a “Costituzione rovesciata”, ad oggi, nel solo triennio 2014/2016 ha sottratto, mediante il “trucchetto” della spesa storica, ben 183 miliardi di spesa pubblica allargata ai cittadini delle regioni meridionali. Regioni la cui funzione coloniale di mercato di consumo non solo di beni materiali ed immateriali, ma anche di “servizi”, in primis istruzione e salute, nonché di fornitura di forza lavoro, rischia di essere istituzionalizzata in modo definitivo dall’approvazione del regionalismo differenziato, giustificato anche sulla base di motivazioni discriminatorie e razziste: per cultura, etica e componente genetica settentrionali “virtuosi” e “laboriosi” vs meridionali “fannulloni”, “assistiti” e “spreconi”.

Che dire? Come è stato osservato, mentre, ad esempio, “la visione lunga di Manichella e Draghi”, che “collocano il divario territoriale nel punto più alto dell’agenda delle cose da fare”, dimostra che alcuni settori della borghesia riscoprono e tentano di rilanciare la centralità della questione meridionale come questione nazionale ed europea, di contro, nonostante le sollecitazioni interne ed esterne, e, soprattutto, nonostante le evidenze empiriche, non pochi settori, militanti e quadri della sinistra radicale stentano ancora a pronunciare le due ‘fatidiche’ paroline, che si riferiscono ad una costante “strutturale” della storia italiana: “questione meridionale”.

02/06/2019 – Salvatore Lucchese

 

 

 



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