Il soffritto nasce nei quartieri più poveri della città di Napoli, ed è in effetti un insieme di frattaglie di maiale insaporito dal pomodoro e da una generosa spruzzata di piccante e a cui si aggiungono degli aromi a noi molto famigliari come l’alloro, l’aglio e il rosmarino. La stessa formulazione del soffritto, fa capire che la povertà è nel dna di questo piatto, la cui base sono frattaglie del maiale, che rappresentano la parte meno nobile dei tagli di questo animale, i suoi scarti per l’appunto.
La cottura delle frattaglie inizialmente si faceva con la ‘nsogna, perché l’olio EVO era davvero un lusso nelle case delle famiglie napoletane e ancora oggi viene mantenuta questa modalità di preparazione. Come ci racconta ad esempio la ricetta popolare scoperta dal famoso drammaturgo Ulisse Prota Giurleo, rinvenuta, a suo dire, sul retro di uno strumento notarile, e probabilmente dettata da una certa Annarella, proprietaria di una taverna a Porta Capuana frequentata, per l’appunto, da legali, dice:
“Prendi un polmone di porco, taglialo a pezzetti e mettilo in una cassarola a soffriggere con inzogna (strutto) abbondante, e se ti piace un senso d’aglio e qualche fronna (foglia) di lauro.
Quando s’è ben soffritto aggiungi un paio di cucchiaiate di conserva di peparoli (peperoni) rossi dolci, per darli un bel colore, e cerasielli (peperoncini piccanti a forma di ciliege) in polvere quanti ne vuoi, per darli il forte, aggiungendovi una competente quantità d’acqua col sale o di brodo, e continua a far cuocere tutto a fuoco lento.
Se dapprincipio non ci hai posto le fronne di lauro e vuoi darli sapore, mettici a questo punto un mazzetto di erbe aromatiche, cioè Rosmarina, salvia, lauro, majorana e peperna.
Quando vuoi servirlo, togli dette erbe e spargilo fumante nei piatti, sopra croste di pane.
Placet Etiam Majestati.”
Lo abbiamo definito “un piatto povero” date le sue origini, ma in realtà nella nostra epoca è un piatto che sta riscoprendo dei nuovi albori, perché non solo le frattaglie non sono più largamente utilizzate in cucina dai napoletani, ma anche perché il suo contributo calorico e davvero importante. Un piatto di soffritto da solo può unire primo e secondo insieme, è un piatto molto ricco e richiede di essere accompagnato da un vino rosso graffiante, possibilmente tanninico e in grado di sgrassare la bocca al suo passaggio.
“La proibizione di consumare cibi di derivazione animale, a eccezione del pesce, favorì la diffusione della pasta. Vero è che per i poveri, che non erano certo pochi, il divieto non era poi così faticoso da sopportare, in quanto al loro desco, al di là dei giorni di grasso o di magro, la carne difficilmente faceva comparsa.
I più indigenti solevano, di tanto in tanto, recarsi presso le cucine delle famiglie facoltose e raccogliere tra i rifiuti quel che la nobiltà, che per vezzo usava sovente termini francesi, chiamava les entrailles, ossia le interiora degli animali.
Da les entrailles a le centraglie, termine che nella lingua napoletana ancor oggi indica le interiora utilizzate per popolari ma ottime zuppe di soffritto, il passo è breve.”
Edmondo Capecelatro La cucina napoletana (Il lettore goloso) (Italian Edition)