Secondo il grande intellettuale siciliano Leonardo Sciascia, l’umanità si divide in cinque categorie: “gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà”.Alla prima categoria, quella degli uomini, appartiene un altro grande intellettuale corregionale di Sciascia, l’economista meridionalista Pietro Massimo Busetta, che da molti anni si batte con sagacia, forza, coraggio e determinazione a favore del riscatto del Mezzogiorno dalla sua storica condizione di sviluppo ritardato.Si batte assumendo la postura non del ricercatore accademico distaccato, equilibrato ed attento a non pestare i piedi a nessuno, perché nella vita non si sa mai, bensì, quella dell’intellettuale engageé, che, pur argomentando e documentando le sue tesi, non le manda a dire, anzi, sulla scia, di fatto, di un altro grande meridionalista suo corregionale, Napoleone Colajanni, mette tutto nero su bianco in modo chiaro e rigoroso, prende nettamente posizione e si espone coraggiosamente nella lotta per il bene comune, anche a discapito dei suoi interessi particolari.Infatti, dopo Il coccodrillo si è affogato (Rubbettino, 2018), Il lupo e l’agnello (Rubbettino, 2021) e La rana e lo scorpione (Rubbettino, 2023), l’ultima fatica saggistica di Busetta, La rana bollita. Perché il Sud non si ribella (Rubbettino, 2024), rappresenta, alla stregua del “J’accuse” del grande intellettuale francese Emile Zola, l’ennesima critica pubblica da lui rivolta sia alle classi dirigenti nazionali sia a quelle che lui stesso definisce nei termini di “classi dominanti estrattive meridionali”, la borghesia intellettuale di salveminiana, gramsciana e dorsiana memoria.Dunque, Sud “rana bollita”, ma in che senso? E perché? Bollita da chi? Da quando? E come? Quali i motivi per cui il Sud dovrebbe ribellarsi? Tutto il Sud indistintamente? O soltanto alcune sue parti sociali? Ed infine, quali le forme ed i contenuti di un’ipotetica/possibile ribellione?A queste domande l’economista siciliano dà delle risposte esaustive tanto sotto il profilo storico quanto sotto quello della critica socio-economica.Innanzitutto, Busetta ricorre alla metafora utilizzata dall’intellettuale radicale Noam Chomsky, rana bollita, “per descrivere – come lui stesso precisa – una pessima capacità dell’essere umano moderno: ovvero la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi.” Riferita al Sud, la metafora della rana bollita, secondo l’intellettuale siciliano, ben sintetizza e rappresenta la condizione del Mezzogiorno, a cui storicamente “il Nord – sottolinea l’autore – ha guardato […] come a una colonia alla quale si poteva insegnare tutto”, a cui “ha imposto un progetto di sviluppo che si realizza con le migrazioni di oltre 100.000 tra giovani e adulti ogni anno verso il Nord”, senza che nel corso della sua storia il Meridione si sia mai ribellato in modo compatto e risolutivo. Precisato il senso della metafora chomskyana riferita al Sud, Busetta illustra la sua tesi ripercorrendo il periodo storico che va dalla fine del seconda conflitto mondiale sino ai giorni nostri. Una lunga fase storica che si caratterizza per un processo di modernizzazione distorto e subalterno del Mezzogiorno. Un processo incentrato sulla “prima finta industrializzazione”, sulla “seconda finta industrializzazione”, sui “mancati interventi” infrastrutturali e sulla “mancanza di diritti”. La “prima finta industrializzazione”, iniziata a cavallo tra gli anni ’50 e gli anni ‘60, si incentra, evidenzia lo studioso siciliano, sullo scambio lavoro/salute – le industrie petrolchimiche e siderurgiche di Brindisi, Bagnoli, Taranto, Milazzo, Siracusa, Termine Imerese –, senza che venga creato quel numero di posti di lavoro tale di rispondere alle effettive esigenze di sviluppo del Meridione.La “seconda finta industrializzazione” riguarda gli anni recenti, in cui, osserva Busetta, “l’interesse per il Sud ricomincia con il governo Meloni, a parole”. Sono gli anni in cui ai meridionali trattati “ancora con l’anello al naso”, evidenzia l’autore, si fa passare come processo di modernizzazione quella che lui stesso definisce, appunto, come “seconda finta industrializzazione”, che, sempre a suo parere, relega il Sud alla funzione ancillare di “batteria del Paese e dell’Europa”. Inoltre, sempre secondo Busetta, nel corso degli ultimi anni non solo si è assistito al “furto del PNRR” e al conseguente “fallimento dell’obiettivo della perequazione”, ma anche, tra gli altri interventi a discapito del Sud, all’“eliminazione del reddito di cittadinanza” e al tentativo di attuazione dell’autonomia differenziata, che, secondo l’autore, essendo “un progetto suicida per il nostro Paese” è facile che “porti a forme di secessione e di frattura dell’unità nazionale”. Dopo avere rimarcato le sperequazioni infrastrutturali materiali ed immateriali – dal piano Marshall alle reti digitali – ed i conseguenti divari di cittadinanza relativi all’istruzione, alla salute e alla mobilità, Busetta si sofferma sulle altre conseguenze del dualismo Nord-Sud – emigrazione per il lavoro, sanitaria ed universitaria, perdita di identità e di coraggio –, per poi ricordare alcuni “insurrezioni” che hanno attraversato il Mezzogiorno dall’‘800 ad oggi, tra le altre l’autore ricorda la “strage di Pietrarsa”, le “due rivolte del pane di Napoli” ed i fatti di “Avola 1968”. Dunque, quali le cause che hanno condotto il Sud allo stato di “rana bollita”? Assumendo l’ottica epistemica della complessità, scevra da tentazioni di riduzionismo monistico, Busetta ne elenca nove: 1) l’interiorizzazione di un modello feudale di potere; 2) l’effetto placebo dovuto alla società dei consumi; 3) la valvola da sfogo delle emigrazioni; 4) l’assistenzialismo; 5) il walfare criminale; 6) l’educazione all’inferiorità tramite la manipolazione dei mass-media egemonizzati dai poteri forti del Nord; 7) le politiche repressive; 8) i collegamenti limitati con le altre realtà; 9) l’integrazione della borghesia meridionale negli apparati statali e la sua separazione dalle classi popolari. Evidenziate le cause per le quali il Sud può essere considerato una “rana bollita”, ed approfondendo ulteriormente, rispetto a quanto da lui già sostenuto nel suo precedente libro, La rana e lo scorpione, la questione relativa alla mancanza di un soggetto politico di chiaro orientamento meridionalista, l’economista siciliano si pone la domanda relativa al che fare. In un contesto in cui, osserva Busetta, “I venti dell’indipendentismo soffiano in tutta Europa”, anche la “rana […] prima o poi imparerà a saltare dalla pentola di acqua bollente”, e se già, evidenzia l’autore, nel Mezzogiorno si intravedono dei segnali di rivolta, come l’astensionismo elettorale e i tentativi di costituzione di una “Lega per il Sud”, Busetta cita a riguardo il MET di Pino Aprile e “Nord chiama Sud” di Cateno De Luca, per evitare il pericolo di un “Paese in conflitto”, lo studioso siciliano conclude il suo libro soffermandosi su tre possibili soluzioni relative al problema del vuoto di rappresentanza al Sud: 1) Livello pedagogico-civile: agire sull’“intellighenzia meridionale” per decostruire il “senso di colpa” che conduce all’inazione; 2) Livello politico-istituzionale: coordinamento tra le Regioni meridionali e costituzione di una forza politica autonoma per l’unificazione sostanziale del Paese; 3) Livello politico-identitario: costituzione di una forza politica indipendentista.Insomma, un Sud in bilico tra l’istituzionalizzazione definitiva, strutturale e permanente della sua storica condizione subalterna di colonia estrattiva interna, la mobilitazione compatta per l’unificazione effettiva del Paese, l’indipendenza. Al lettore, il compito di svegliarsi dalla torpore per lui letale della rana bollita, svegliarsi, saltare dalla pentola e prendere posizione a favore della soluzione dell’annoso divario Nord-Sud.