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19 Aprile, 2024

Il mito degli Squallor



C’erano una volta quattro serissimi insider dell’industria discografica italiana degli anni Sessanta e Settanta. Gente colta e di gusti raffinati. Di giorno qualcuno di loro scriveva testi per Massimo Ranieri, qualcuno componeva musiche per Little Tony, qualche altro regalava hit internazionali a Tom Jones, qualche altro ancora aveva una relazione con Mina.

Di notte s’incontravano e dissacravano amorevolmente quanto di serio avevano potuto fare fino a un minuto prima. Chiudendosi in uno studio di registrazione e sfornando pezzi a base di turpiloquio come «’O camionista», «Berta», «Non mi mordere il dito» e soprattutto l’incontenibile «Cornutone».

È l’anti-storia della musica leggera di casa nostra o, se preferite, la storia degli Squallor, primo gruppo rock demenziale d’Italia e in tutta probabilità prima ghost band del mondo. Perché nel 1972, due anni prima dei Residents e con un lustro di secolo d’anticipo rispetto ai Gorillaz, nei negozi di dischi di Roma, Milano e Napoli ci si chiedeva chi si nascondesse dietro lo sboccatissimo complesso autore dell’album «Troia», omerico ma non troppo. La risposta? Quattro colonne portanti della Cgd, gloriosa etichetta discografica milanese di Ladislao Sugar.

Quattro amici, tutti ben inseriti nel mondo dell’industria discografica, i quali un po’ per gioco, un po’ per pura goliardia, ma anche per evadere dalla routine della discografia milanese, decidono di formare un gruppo la cui denominazione è tutto un programma. Giancarlo Bigazzi è un affermato musicista, Toto Savio è compositore e produttore, Daniele Pace è fra i parolieri che più hanno venduto in tutti i tempi, infine Alfredo Cerruti è discografico, produttore, non ancora autore televisivo, ma soprattutto fidanzato di Mina. Il loro primo disco esce per la Cgd con il titolo VACCA: una serie ininterrotta di gag, basse insinuazioni, battute pesanti, un disco a “taglio basso” che, dato l’anno in cui viene pubblicato, il 1977, avrebbe dovuto passare automaticamente nel dimenticatoio, e invece ha successo. 

Nel 1978 escono addirittura due album: POMPA e CAPPELLE [2] per i quali il discorso non cambia: Cerruti, voce stentorea a effetto nasale è il “cantante solista”, Toto Savio il principale artefice delle musiche, a volte rubacchiate di proposito, a volte originali, a volte ancora semplici sottofondi per le battute. I dischi hanno successo, la radio comincia a trasmetterli, entrano in classifica, sia pure nelle posizioni di retrovia, e il gruppo diventa per molti un “must” del kitsch all’italiana. Sulla medesima linea ormai “classic”, gli album MUTANDO (1981) e SCORAGGIANDO (1982).




Il gruppo subisce una prima battuta d’arresto con la morte di Daniele Pace (1985), autentico “spuntista” della formazione. Ma nel 1988 approdano alla Ricordi, dove Cerruti si è trasferito come direttore artistico, con ARRAPAHO (arriva al n.13 in hit parade), [3] secondo alcuni l’album più riuscito, a cui viene accoppiato in simultanea un film, un autentico tonfo, ricercato però oggi come un momento irripetibile del pre-demenziale italiano. Nel 1984 esce UCCELLI D’ITALIA, dove le idee, la cattiveria, la satira e la voglia di pungere si dimostrano tutt’altro che sopite. Il 1985 è l’anno di TOCCA L’ALBICOCCA (n. 11 in hit parade), un lavoro all’interno del quale si inserisce per la prima volta qualcosa di riciclato. [4] MANZO, satira di Rambo, del 1986, è un album in cui gli Squallor appaiono per la prima volta assai provati.

Il gruppo appare smembrato e quelle occasioni di bagordi che costituivano un po’ le loro riunioni di lavoro sembrano svanire: Cerruti, trasferitosi ormai a Roma; Bigazzi più alle prese con le sue barche a Punta Ala che non a Milano, e le non perfette condizioni di salute di Savio fanno pensare a una crisi. Successivamente Cerruti abbandona del tutto la discografia e il gruppo rischia di rimanere senza contratto. La formazione è comunque ancora attiva e le idee sono tante, tuttavia molto dell’antico smalto sembra scomparso.

Il limite degli Squallor è stato quello di trincerarsi dietro una sigla, anche quando le singole identità dei vari componenti erano più che note. Il passo successivo avrebbe dovuto essere quello di affrontare il pubblico. Diversamente da altre formazioni-sberleffo del passato (la prima che viene in mente è la famosa orchestra-spettacolo dell’americano Spike Jones) non hanno mai tentato invece il grande salto, accontentandosi dei limiti della sala d’incisione. Rimane il caso, più unico che raro nella discografia italiana, di un gruppo che è riuscito a vendere qualche milione di dischi non solo senza esporsi, ma anche senza un briciolo di pubblicità. Quando l’immagine non è tutto. Anzi. 




Gli Squallor hanno rappresentato in 25 anni di carriera un mix di genilità, critica alla società e irriverenza. L’aspetto provocatorio è quello che ne ha decretato il successo. L’apparente volgarità e i momenti di pura genialità sono stati il segno distintivo di questa Band unica ed irripetibile.

Durante i funerali c’erano due bare. E noi stavamo a piangere tutti su una bara. E io mi sono accorto che c’era un altro nome allora ho chiesto al prete: “Chi è il cadavere?” Lui dice: “Antonio…” Non ricordo il cognome. Così ho detto: “Ragazzi, stiamo a piangere uno che non conosciamo, cambiamo bara”. […] Daniele era spiritoso, gli piaceva se ridevamo, non se piangevamo.

Alfredo Cerruti sulla morte di Daniele Pace, dal documentario The Squallor.

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