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24 Aprile, 2024

“Fare comunità”: identità, territori e classi dirigenti meridionali



Il rinnovamento delle classi dirigenti è uno dei temi principali del dibattito sulla questione meridionale, intesa non solo come divario socio-economico tra Nord e Sud Italia ma anche come dualismo politico-civile tra le due aree del Paese.

Solo per citare alcuni dei nomi più famosi del dibattito meridionalista svoltosi a cavallo tra ‘800 e ‘900, dal napoletano Pasquale Villari al pugliese Gaetano Salvemini, dal sardo Antonio Gramsci all’avellinese Guido Dorso, il problema della formazione e della selezione di un ceto politico capace di riscattare il Mezzogiorno dalle sue condizioni di arretratezza o sottosviluppo è stato posto a partire da diverse e talora opposte prospettive politico-culturali.

Se il liberale moderato ed unitario Villari denuncia la formazione da “arcadi”, ossia retorica, astratta e letteraria, della classe dirigente sia meridionale che nazionale, criticando la piccola borghesia intellettuale meridionale per il suo individualismo e le sue corrotte e corruttive pratiche clientelari, del tutto funzionali, secondo loro, alla costruzione del blocco conservatore agrario-industriale a livello nazionale, il socialista riformista e federalista Salvemini e il comunista, federalista e consiliarista Gramsci pongono l’esigenza di definire i contenuti e le modalità di costruzione del blocco operaio-contadino, riformista, per il primo, e rivoluzionario, per il secondo, capace di esprimere quadri politico-culturali, che, nel mettere le masse lavoratrici nella condizione di emanciparsi, favoriscano anche il riscatto dell’intero Mezzogiorno.

Invece, Dorso, pone l’accento sull’esigenza di formare una classe dirigente meridionale capace di esprimere in modo diretto ed autonomo le istanze meridionaliste che all’interno dei partiti unitari nazionali rischiano di venire neutralizzate dagli interessi antimeridionalisti.

Ancora oggi il tema della formazione delle classi dirigenti meridionali è di grande importanza, come, ad esempio, hanno dimostrato gli studi del giornalista Marco Esposito su Zero al Sud o quelli dell’economista Pietro Massimo Busetta su Il coccodrillo si è affogato. Studi ed analisi che hanno evidenziato la totale “assenza” delle classi dirigenti meridionali sia a livello locale che nazionale.

Di fatto, Adolfo Bottazzo, vicepresidente di Confindustria Caserta con delega al Territorio e all’Economia circolare, Giuseppe Pedersoli, commercialista, già difensore civico del Comune di Napoli e vicesindaco di Frattamaggiore, nonché opinionista di Repubblica Napoli, e Raffaele De Stefano, co-coordinatore del’area Scuola e Cultura del Comitato meridionalista “G. Salvemini” e studioso di Carlo Levi, con le loro interviste rilasciate al giornalista Claudio D’Aquino e le loro lettere inviate al SUD ON LINE, si inseriscono in questo filone di pensiero riproponendo il tema dell’inadeguatezza dei ceti dirigenti meridionali.

Mentre Pedersoli dichiara senza mezzi termini che il “Mezzogiorno sta come sta perché è malato di leadership”, e la malattia consta nello spirito “individualista” ed “opportunista” della sua classe dirigente, che fa sì che non ci sia “linea politica” e “progetto che possano affermarsi motu proprio”, Bottazzo va alla radice del problema quando dichiara che il “Mezzogiorno sta come sta perché non ha classe dirigente. E non ha classe dirigente perché ha smarrito la via della sua più autentica identità di popolo. Non sappiamo più chi siamo”. La perdita della memoria collettiva, conclude Bottazzo, ha fatto sì che i meridionali non siano mai diventati popolo, “cioè non si è mai compiuta la saldatura tra borghesia e classi subalterne che ha portato alla modernità altre nazioni europee”.

Rispetto al filone meridionalista delineato, di fatto, Podersoli e Bottazzo riprendono alcuni temi della polemica salveminiana e della critica gramsciana contro le élites locali – l’assenza,  l’opportunismo e l’individualismo – per poi fare valere con maggiore forza il problema dorsiano dell’identità collettiva e di una classe dirigente autonoma che si muova “motu proprio”.

Dunque, nel complesso si può osservare che la rimozione della memoria storica, l’interiorizzazione di atavici stereotipi negativi, di un Sud e di una “razza” maledetti, pregiudizi di matrice “colonialista” che generano pessimismo e il pessimismo contribuisce a rendere immutabile lo stato delle cose, intrecciate alle condizioni di sottosviluppo sociale ed economico sono tutti fattori che hanno minato e continuano a minare la possibilità di costruire un’identità “comunitaria” a livello territoriale tale da impedire ai cittadini di prendere consapevolezza e di promuovere i propri diritti attraverso la formulazione e l’espressione di istanze, bisogni ed interessi legittimi in modo organico e progettuale.

Che fare? Ci troviamo nella “notte hegeliana” in cui tutte le “vacche sono nere”? Da dove iniziare per ricostruire quel senso di “comunità” che costituisca il fondamento di classi dirigenti preparate e lungimiranti nel promuoverne diritti ed interessi dei propri territori di riferimento? Come “fare comunità”, come ripristinare i fili della memoria col proprio passato senza cadere nelle facili idealizzazioni e soprattutto senza generare grette, miopi, xenofobe e razziste chiusure localistiche?

A queste domande risponde la Lettera di De Stefano al Direttore di SUD ON LINE, là dove, di fatto, ponendosi sulla scia delle posizioni autonomiste di Dorso invece che su quella dell’unità di classe di Salvemini e Gramsci, innanzitutto osserva che:

“Ad oggi è difficile pensare che la rappresentanza del Mezzogiorno possa essere affidata ad una delle forze politiche esistenti.  Nessun partito ha preso finora una posizione netta contro l’autonomia differenziata; tutti balbettano e fanno una serie ambigua di distinguo.  Soltanto lo scorso 22 giugno CGIL, CISL e UIL, con la manifestazione a Reggio Calabria ‘Ripartiamo dal Sud per unire il Paese’, hanno detto in maniera chiara il loro no all’autonomia differenziata. Evidentemente gli interessi del partito trasversale del Nord condizionano la linea dei partiti nazionali”.

Inoltre, De Stefano esce dalla “notte hegeliana” e con estrema lucidità rimarca il fatto che: “Una nuova classe dirigente meridionale e meridionalista sta, tuttavia, nascendo nel vivo del dibattito e della battaglia contro l’autonomia differenziata lanciata da un manipolo di giornalisti e intellettuali e poi ampliatisi con la nascita e il coinvolgimento di comitati e associazioni di cittadini, dei sindacati di base e di istituzioni universitarie come la Federico II di Napoli”.

Inoltre, tra i soggetti che potrebbero entrare a fare di una nuova classe dirigente meridionale vanno anche annoverati sia quei settanta Sindaci dei Comuni meridionali che hanno presentato ricorso contro la “perversa” attuazione del federalismo fiscale, sia tutti quei consiglieri comunali e regionali che in tempi e forme diverse si sono mobilitati e continuano a mobilitarsi contro il federalismo “estrattivo”, sia i dirigenti, i funzionari, i militanti e gli attivisti delle sezioni locali dei partiti nazionali che stanno prendendo coscienza della loro mobilitazione “solitaria”, sia gli studiosi di economia e scienze sociali che afferiscono alla Svimez e all’Alleanza degli Istituti Meridionalisti, sia quelle aree della Confindustria meridionale che, come nel caso della Confindustria di Caserta, hanno denunciato le ricadute negative del federalismo differenziato in salsa padana, sia quelle reti sociali, in primis Il Sud Conta, che sono rappresentative di istanze sociali, culturali e popolari diffuse nei territori delle principali città meridionali.

Come si può notare, si tratta di una pluralità di forze sociali, politiche e culturali che potrebbero contribuire a ricostruire e a rappresentare i diritti e i bisogni ad oggi azzerati, calpestati e disattesi delle “comunità” meridionali sia continuando ad opporsi al “colpo di Stato” dei “ricchi” sia richiedendo la perequazione integrale, sia rilanciando il tema del dualismo Nord/sud in un’ottica d’innovazione e superamento dei paradigmi esistenti da incentrare sulla transizione ad un’economia circolare con una chiara prospettiva euro-mediterranea.

Certo, si tratta di forze e di soggetti anche eterogenei fra loro, ma, al di fuori di schematismi ideologici oramai consunti, e recuperando la lezione autonomista di Dorso, potrebbero iniziare a confrontarsi intorno allo stesso tavolo su alcuni temi che li accomunano: la mobilitazione contro il federalismo “estrattivo”, la cancellazione del Mezzogiorno dal dibattito politico e l’esigenza di rispondere al suo radicale e quasi mortale deficit di rappresentanza politica.

Link all’intervista rilasciata da Adolfo Bottazzo a Claudio D’Aquino:

https://www.ilsudonline.it/mezzogiorno-per-fare-sviluppo-gli-incentivi-non-bastano-serve-una-nuova-classe-dirigente-parla-adolfo-bottazzo-confindustria-caserta/?fbclid=IwAR1vhfYtnTjLrpW5zF-zrhFlOMcm74lHMpZXVSc3Jp9o9oboMVoHUYp09TY

Link all’intervista rilasciata da Giuseppe Pedersoli a Claudio D’Aquino:

https://www.ilsudonline.it/la_risposta_di_giuseppe_pedersoli_ad_adolfo_bottazzo/

Link all’articolo/lettera di Raffaele De Stefano:

https://www.ilsudonline.it/lettera-la-questione-meridionale-e-questione-di-classi-dirigenti/?fbclid=IwAR1swKCJDavPfA32VXaCbIniIWt3ku7GjzhUT4UOF4KVHGmrAJsumOMxQa8

10/07/2019 – Salvatore Lucchese

 



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