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12 Luglio, 2025

EDITORIALE DEL SEGRETARIO GENERALE CONFIAL: “10.000 processi a Bologna? Il paradosso della giustizia amministrativa di piazza”

Di fronte alla notizia – clamorosa quanto inquietante – che 10.000 manifestanti del settore metalmeccanico potrebbero finire sotto processo a seguito dell’applicazione rigida del cosiddetto “Decreto Sicurezza”, ci sentiamo chiamati a una riflessione profonda e responsabile.
Se manifestare – civilmente e nel rispetto delle leggi – è un diritto costituzionalmente garantito (art. 17 Costituzione Italiana), allora è altrettanto doveroso chiedersi: stiamo davvero tutelando i principi democratici o stiamo trasformando la legittima protesta in un reato amministrativo di massa?
La concentrazione di tutti i procedimenti giudiziari presso il tribunale di Bologna, solo perché sede giurisdizionale dell’evento, rischia di paralizzare la macchina della giustizia ordinaria, già affaticata da carenze strutturali e cronica mancanza di personale.
Ci chiediamo con serietà: se in una settimana dovessero tenersi cinque manifestazioni, con migliaia di partecipanti ciascuna, che tenuta avrebbe l’apparato giudiziario bolognese? In questo caso, ma qualsiasi altra giurisdizione di Italia?
Come potrà la giustizia rispondere tempestivamente anche ai cittadini che attendono sentenze su cause civili, penali, familiari? O le imprese che non investono più in Italia proprio per la lungaggine dei tempi della giustizia?

Siamo di fronte a una distorsione: un impianto normativo concepito per garantire sicurezza pubblica rischia di diventare un meccanismo repressivo automatico, indiscriminato e irrealizzabile nella sua attuazione pratica.


Confial Nazionale è un sindacato autonomo, autonomo, moderno, solidale. Non incita all’illegalità, non giustifica comportamenti violenti né tollera l’abuso del diritto di protesta. Ma difendiamo con forza il principio, intanto del diritto allo sciopero, secondo cui il dissenso è una delle forme più alte di partecipazione democratica.

Non possiamo accettare che chi alza un cartello, intona uno slogan o blocca simbolicamente una strada venga trattato alla stregua di un criminale.

Se oggi accettiamo passivamente che 10.000 manifestanti vengano messi sotto processo solo per aver fatto sentire la propria voce, domani potremmo trovarci in un Paese dove la protesta è tecnicamente ancora “ammessa”, ma praticamente impossibile da esercitare senza incorrere in conseguenze sproporzionate.

Il diritto a manifestare non può essere svuotato di senso né sacrificato in nome di una presunta efficienza securitaria che, paradossalmente, si ritorce anche contro lo Stato stesso, ingolfando le aule dei tribunali e trasformando le leggi in strumenti di pressione anziché di tutela.

Facciamo un appello al legislatore e alla politica responsabile: rivedere il decreto, modificarne l’applicazione, distinguere tra reato e disobbedienza civile, tra pericolo pubblico e legittima rivendicazione sociale.

Perché se la legge diventa ingiusta, non è solo il manifestante a perdere, ma lo Stato tutto.

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