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29 Marzo, 2024

Crisi di Governo e rimozione del regionalismo estrattivo ed antimeridionale dal dibattito politico. Chi lotterà nel Sud, col Sud e per il Sud?



La vera causa della crisi di Governo: la mancata attuazione del regionalismo differenziato

È appena iniziata la settimana in cui si avvieranno le procedure per la formalizzazione della crisi di Governo. Ora, occorre interrogarsi sulle vere ragioni della crisi, in modo tale da capire quale sia la vera posta in gioco, per poi trarne le debite implicazioni di carattere politico-culturale.

Come a questo proposito, in un suo recente articolo pubblicato su Repubblica Napoli, ha osservato il costituzionalista Massimo Villone, al di là del pretesto del TAV, “la ragione vera” della crisi deve essere ricercata altrove, “non nelle battaglie vinte, ma in quelle ancora da vincere. La considerazione più immediata è: flat tax e autonomie”.

La stessa analisi è stata fatta dal Presidente della SVIMEZ, Adriano Giannola, che, in un articolo pubblicato sul Quotidiano del Sud, ha sostenuto che per comprendere le vere cause della crisi “si dovrebbe riflettere al di là di quello che essa vuole sembrare ed essere rappresentata come una scelta opportunistica di tempo per piazzare la scommessa dei pieni poteri. Essa nasconde infatti una verità, alla luce del sole che in questi tempi nessuno sembra voler vedere e proclamare. Eppure una verità che in una campagna elettorale dovrebbe essere al centro del dibattito per i suoi effetti sui destini del paese. Basta leggere il contratto e ricordarsi che l’unico e solo impegno definito assolutamente prioritario dal sedicente Governo del cambiamento era quello di tenere a battesimo il rivoluzionario regionalismo a geometria variabile. Un impegno meramente naufragato (e non per tardivo scetticismo del M5S!)”.

A partire da una prospettiva politica radicale, anche Giovanni Pagano, tra i maggiori esponenti delle rete meridionalista Il Sud Conta, in un recente post pubblicato sulla sua pagina personale di facebook, ha osservato che: “Questa crisi di governo mette a nudo i veri interessi leghisti e la finzione del passaggio da partito del Nord a Partito nazionale (dove ci fossero delle differenze). La flat tax sarebbe servita a cementificare il consenso leghista al Nord, i beneficiari sarebbero stato in stragrande maggioranza i ceti medi residenti nelle regioni settentrionali, per farla però ci volevano i soldi, da dove prenderli? Dal Sud, ovviamente! Così come il welfare delle regioni settentrionali dopo la crisi del 2008 è stato garantito, dal 2011 in poi, con i miliardi di mancati trasferimenti, che spettavano da costituzione ai comuni del sud (vedi perequazione), così la flat tax e i nuovi assetti delle tre regioni che hanno richiesto l’autonomia si sarebbero retti con i 60 miliardi annui del famoso residuo fiscale. Questo avrebbe permesso alla Lega di tenere buono il ceto medio/basso, garantendo un welfare migliore di quello meridionale e un sistema di tassazione più basso, maggiori introiti nel pubblico da spostare nelle privatizzazioni (scuola e sanità) e soprattutto stare all’interno delle direttive europee. Anche se Salvini fa l’antieuropeista, il blocco di potere che lo sostiene (Gavio, Atlantia e tutte le grandi imprese del Nord) è fortemente europeista, anzi teme che la palla al piede del meridione lo allontani dai ritmi produttivi centro europei”.

Infine, tagliando la testa al toro, al di là rappresentazioni “teatrali” dell’attuale scenario politico, le vera ragione della crisi ce la svelano direttamente sia il Governatore della “Serenissima Repubblica di Venezia”, Luca Zaia, quando, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, afferma che: “Dopo le elezioni, con il nuovo Governo, la Lega punterà a chiudere la partita dell’autonomia”, sia il titolare del dicastero degli Interni, quando, in occasione del suo tour elettorale nel Mezzogiorno, presenta l’autonomia come la riforma grazie alla quale i cittadini meridionali potranno liberarsi dei loro politici inetti e corrotti.

Una nuova coltre di silenzio sul regionalismo estrattivo ed antimeridionale

Nonostante il fatto che i veri motivi delle crisi siano stati ampiamente documentati ed argomentati, questa verità, come ha osservato Giannola, non viene vista né, tanto meno, proclamata da nessuno, tranne, a dire il vero, dal Governatore della Campania, Vincenzo de Luca, che sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno ha lanciato la proposta di un’“alleanza meridionalista”.

Il PD, LeU, SI ed Articolo UNO, i cui dirigenti ed i cui parlamentari, soprattutto meridionali, sino a qualche giorno fa non solo avevano preso posizione contro il regionalismo differenziato, ma avevano anche sollevato l’attenzione sulla “ nuova questione meridionale”, con l’avvento della crisi hanno iniziato ad impostare la loro campagna elettorale sulla sola contrapposizione fascismo/antifascismo, autoritarismo/libertà.

Anche il Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che in altre occasioni ha contrapposto l’autonomia comunale al regionalismo differenziato, nell’annunciare via social la sua decisione di partecipare alle prossime elezioni politiche ha fatto leva sulle stesse contrapposizioni. Candidandosi come l’anti Salvini a livello nazionale ha affermato che: “Si deve costruire un fronte popolare democratico di liberazione, una coalizione civica nazionale che possa finalmente puntare – dopo oltre 70 anni – all’attuazione della Costituzione”.

Dopo averne rallentato prima il percorso e bloccata poi l’attuazione della cosiddetta “secessione dei ricchi”, facendo tesoro delle analisi critiche formulate da studiosi e centri di ricerca e divulgate da giornali e comitati civici, i 5S, ora, invece di capitalizzare i meriti da loro acquisiti sul fronte della lotta contro il tentativo di “colpo di Stato” dei ricchi ed incalzare il “Capitano” sugli effetti negativi che il regionalismo differenziato avrebbe sui territori meridionali, impostano la loro strategia comunicativa sulla denuncia dell’opportunismo politico della Lega e sul conseguente “tradimento” degli Italiani, che rischiano di pagare i costi della crisi di Governo.

Nel complesso, si può osservare che in questi primi giorni che precedono la formalizzazione della crisi i temi del regionalismo differenziato e della “nuova questione meridionale” sono stati di nuovo rimossi dal dibattito nazionale.

Perché? Lo si ritiene un tema diviso? Gatta ci cova? Ci si prepara ad un compromesso al ribasso sul modello a “geometria variabile” richiesto dall’Emilia Romagna? Prendendo posizione contro la “perversa attuazione del federalismo fiscale” e contro il regionalismo discriminatorio, asimmetrico ed estrattivo, tutte le forze politiche nazionali e chi, come De Magistris, aspira a proiettarsi sullo stesso palcoscenico, temono di perdere voti al Nord? Non si comprende, o non interessa farlo, che la difesa e l’attuazione della Costituzione passa anche e soprattutto attraverso la chiara, palese e pubblica contrapposizione ad un progetto politico che mira alla definitiva subordinazione del Sud agli interessi economici e finanziari del Nord? Non si capisce che l’autoritarismo di Salvini è del tutto organico e funzionale al disegno di “un grande Nord”?

L’ “operazione verità” non basta: urge un soggetto politico meridionalista

A questo punto occorre chiedersi chi lotterà nel Sud, col Sud e per il Sud. Occorre domandarsi quale soggetto politico agiterà la “nuova questione meridionale”, richiedendo: 1. la restituzione dei 245 miliardi di spesa pubblica allargata indebitamente sottratti ai cittadini del Sud nel solo quadriennio 2014/2017; 2. la perequazione integrale del Fondo di solidarietà comunale; 3. la definizione dei livelli essenziali di prestazione; 4. la determinazione ed il calcolo dei fabbisogni standard e dei costi standard; 5. Il rispetto del vincolo del 34% della spesa pubblica; 6. il varo di quello che la SVIMEZ ha presentato come l’“ultima chiamata per le politiche di sviluppo”, ossia, un “piano di investimenti in infrastrutture economiche, ambientali e sociali”.

Chi si opporrà al “Grande Partito Trasversale del Nord” – Lega Nord, Forza Italia, PD – che, come ha osservato l’economista Busetta, negli ultimi trent’anni circa, nel “silenzio se non la complicità di Confindustria, delle organizzazioni sindacali e dei partiti”, ha abbandonato il Mezzogiorno, acuendone scientemente dualismi e disuguaglianze con il Nord? Sarà sufficiente la discesa in campo di De Luca e la sua proposta per un’“alleanza meridionalista”? Basteranno i numerosi comitati meridionalisti e “No autonomia differenziata” sorti durante la mobilitazione dei mesi precedenti? Sarà sufficiente il fatto che contro l’“Italia degli egoismi” si sia condotta e si stia ancora conducendo una rigorosa, necessaria, ma non sufficiente, “operazione verità” da parte della SVIMEZ, dell’Alleanza degli Istituti Meridionalisti, dell’Osservatorio sul regionalismo differenziato e di numerosi giornalisti, a partire da Marco Esposito del Mattino e da Roberto Napoletano del Quotidiano del Sud? Non bisognerebbe provare a fare sistema?

12/08/2019 – Salvatore Lucchese  

 



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