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7 Settembre, 2024

Botta e risposta tra il duo liberista Boeri/Perotti e numerosi altri docenti universitari, tra cui i federiciani Staiano, Villone, Lucarelli e Laccetti



Botta e risposta tra il “magnifico duo”, si fa per dire, composto dagli economisti “etno-liberisti-padani” Tito Boeri e Roberto Perotti, tra i teorici della sorti magnifiche e progressive della “locomotiva” Nord, che, oramai, fa acqua da tutte le parti, ed un folto gruppo di autorevoli costituzionalisti e docenti universitari di tutta Italia, i quali, coordinati da Sandro Staiano, Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, hanno sottoscritto un appello rivolto direttamente al Presidente del Consiglio Mario Draghi ed ai ministeri interessati.

Mentre i primi, Boeri e Perotti, giustificano, a Costituzione rovesciata, gli scippi di Stato perpetrati dalle ricche Università del Nord soprattutto, ma non solo, a danno di quelle povere del Sud tramite l’ideologia mistificatrice di un presunto “merito” traducibile in prima vi azzoppo e poi vi accuso di essere incapaci di correre, i secondi, invece, richiamandosi direttamente allo spirito ed alla lettera del nostro dettato costituzionale, richiedono una redistribuzione equa delle risorse finanziarie tra tutti gli Atenei italiani.

Questa volta in gioco ci sono i cospicui fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza, un fondo perequativo che il “magnifico duo” propone di utilizzare in modo sperequativo, concentrandolo soprattutto nelle Università “migliori”, che, guarda caso, sono quelle settentrionali, riservando, invece, le solite briciole a quelle meridionali, che, insieme alle altre università di periferia, correrebbero il rischio di essere deruribricate ad Università di solo insegnamento, se non di essere “malthusianamente” soppresse.

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Ritorna l’eguale: viene ripresentata la proposta di non ridistribuire in modo equo, dunque perequativo, i fondi destinati all’Università, ma di concentrarli nelle “Università migliori”. La novità è che stavolta si tratta di attribuire le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

E perciò gli autori di tale auspicio si trovano di fronte a due problemi ulteriori sulla strada – per loro sempre molto impervia – che dovrebbe condurli a dimostrare la ragionevolezza della propria posizione.

Il primo deriva dal fatto che il PNRR muove da un dato analitico e da una posizione strategica limpidissimi e dichiarati senza equivoci: le diseguaglianze strutturali, segnatamente quella territoriale lungo la linea Nord-Sud, sono storicamente il fattore più rilevante di disfunzione del sistema e sarebbero un ostacolo insuperabile per l’adeguata messa in opera dell’iniziativa Next Generation EU (NGEU). Dunque, occorre rimuoverle, non accentuarle o cristallizzarle.

E poi c’è il vincolo costituzionale: il principio di eguaglianza, come declinato nel primo e nel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, permea il sistema, e si specifica nella garanzia di ciascun diritto sociale (nel diritto all’istruzione e, in particolare, all’istruzione universitaria in forza dell’art. 34), oltre che nei diritti politici, e, quanto alle asimmetrie territoriali, nel principio di perequazione, affermato nell’art. 119, c. 3.

Dunque, certe proposte di disarticolazione e ridefinizione del sistema universitario, con l’impiego distorsivo della gran mole di risorse rese disponibili in Europa, sono illegittime, illegittime in senso proprio, in senso giuridico, poiché in contrasto con il quadro normativo, sia costituzionale interno sia sovranazionale. E l’inosservanza delle regole, in questa particolare fase e nella serrata competizione per le risorse che si sta compiendo e ancora si compirà in Europa, non sfuggirebbe a un sistema sanzionatorio efficace, incentrato sul blocco delle risorse assentite o sulla riattrazione di esse.

E neppure si può dire che la proposta (e quelle a essa simili) abbiano una loro intrinseca plausibilità. Esse, infatti, riposano su un arbitrio argomentativo e su alcune consolidate fallacie logiche. E sono affette da un irrimediabile vizio culturale.

L’arbitrio argomentativo è nella qualificazione della “eccellenza” di una Università, sulla base dei “migliori standard internazionali” che consentono di stilare classifiche, nazionali e mondiali. Ora, è ormai acquisito che tali standard hanno un tasso di affidabilità bassissimo, e comunque non possono essere messe a base di politiche di finanziamento del sistema universitario: non rispecchiano il rapporto tra una Università e il suo territorio né la collocazione nel sistema nazionale di istruzione (il che, nel caso italiano, segnato dalle asimmetrie territoriali, non è difetto da poco); le classifiche utilizzano criteri diversi per arrivare a un unico punteggio di sintesi, creando così una distorsione, poiché non si tiene conto delle diversità disciplinari (distorsione che non si ravvisa, infatti, nelle classifiche by subject); le classifiche danno larghissimo spazio a variabili reputazionali, sicché la qualificazione di “eccellenza” è largamente autoreferenziale; le formule utilizzate per normalizzare gli indicatori vengono definite in modo non trasparente e comunque non controllato.

Quello che invece la conoscenza empirica suggerisce è che l’eccellenza della ricerca, valutabile sulla base dei risultati conseguiti, non è affatto concentrata in singole sedi universitarie, ma diffusa tra sedi diverse. E la valutazione dei risultati va rapportata alla mole delle risorse disponibili.

Su questo terreno si manifesta la fallacia logica della proposta. Ravvisata una posizione di maggiore debolezza di alcune sedi universitarie, si ritiene che esse debbano essere conseguentemente penalizzate nei finanziamenti, piuttosto che riequilibrate attraverso la distribuzione perequativa delle risorse: paradigmatica fallacia “per evidenza soppressa”, direbbero i logici, che conduce a un paradosso. Ma non si governa l’Università per paradossi.

Né ha pregio l’argomento “così fanno altrove”, in Europa e nel mondo. Infatti, lo specifico contesto italiano va tenuto in conto, nei suoi pregi peculiari e nei vizi da correggere (“fallacia induttiva per generalizzazione”, direbbero ancora i logici).

E qui arriviamo al vizio culturale. Concentrare le risorse nelle sedi universitarie postulate come eccellenti, deprivando le altre, significa destinare queste ultime alla mera attività didattica (salvo non se ne voglia proporre malthusianamente la soppressione). Ma ciò contrasta con la missione specifica delle Università, ove il sapere trasmesso è fondato sulla ricerca: in questo contesto, non si danno “meri insegnanti”, ma figure in cui si intrecciano indissolubilmente ricerca e insegnamento. Sennò non è Università (e non si replichi: “così fanno altrove”, poiché l’ultima cosa da fare è aggiungere ai nostri i difetti altrui).

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PRIMI FIRMATARI

Vittorio Amato Università di Napoli Federico II

Gaetano Azzariti Sapienza Università di Roma

Paola Bilancia Università di Milano

Adele Caldarelli Università di Napoli Federico II

Roberta Calvano Università di Roma Unitelma Sapienza

Antonio Cantaro Università di Urbino Carlo Bo

Paolo Carnevale Università di Roma Tre

Omar Chessa Università di Sassari

Stefano Consiglio Università di Napoli Federico II

Marilisa D’Amico Università di Milano

Adriano Giannola Università di Napoli Federico II

Maria Gabriella Graziano Università di Napoli Federico II

Giuliano Laccetti Università di Napoli Federico II

Alberto Lucarelli Università di Napoli Federico II

Stelio Mangiameli Università di Teramo

Andrea Mazzucchi Università di Napoli Federico II

Alessandro Morelli Università di Catanzaro

Fortunato Musella Università di Napoli Federico II

Antonio Pescapè Università di Napoli Federico II

Roberto Pinardi Università di Modena e Reggio Emilia

Andrea Piraino Università di Palermo

Anna Maria Poggi Università di Torino

Roberto Romboli Università di Pisa

Antonio Ruggeri Università di Messina

Sandro Staiano Università di Napoli Federico II

Giuseppe Tesauro Università di Napoli Federico II

Massimo Villone Università di Napoli Federico II

Lorenza Violini Università di Milano



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