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29 Marzo, 2024

“Alice in Wonderland” e la sua psicologia narrativa.



Alice nel Paese delle Meraviglie è l’elaborato del grande Charles Lutwige Dodgson, religioso  e studioso di logica, in arte: Lewis Carroll , che scrisse la favola nel 1863.

In un pomeriggio d’estate l’autore si trovò a raccontare questa favola ad una bambina in carne ed ossa dal nome Alice, esponeva la protagonista come eroina che sconfisse da Regina di Cuori,una bambina ambigua quando, perplessa, ebbe a che fare con il Paese delle Meraviglie, nel quale tutti non abbiamo sognato di viaggiare.

Due anni più tardi Carroll, spinto da chi aveva letto ed ascoltato la favola, pubblica una delle opere più accattivanti dell’era Vittoriana: Alice’s Adventures in Wonderland che vedrà poi il suo seguito e la conclusione in “Attraverso Lo Specchio” dove un’Alice ormai più grande sconfigge le sue paure e diventa regina del mondo al di là dello specchio per poi tornare consapevolmente “al di qua”.

Nell’età contemporanea anche Tim Burton riprende la favola facendola propria e riscuotendo molto successo in ambito internazionale, lo scrittore ebbe una vincente idea nel riproporre una storia ricca di elementi in grado di attrarre un pubblico molto ampio: Bambini, adulti ed anziani adorarono il cartoon, come successe due secoli prima con la versione narrata.

Gli elementi che determinarono il successo di questa avvincente storia furono : La valenza eroica di Alice, il contorno fantasy-ipnotico che caratterizza tutto lo scenario, i profondi giochi di parole che descrivono così bene l’umano e i suoi difetti(basti pensare al gatto dello Cheshire) e l’incantevole scena del Cappellaio Matto, che con uno stile ed un senso del paradosso che forse solo un logico-matematico come Carroll poteva avere, descrive l’ambivalente rapporto con il tempo.

Alice è un’eroina, lo è perché lascia la stasi del noioso pomeriggio al parco per inseguire il Bianconiglio, la novità.  Senza fermarsi lo segue fin giù nelle viscere della terra, nelle profondità del suo essere, ma la sua caduta, non è un precipitare, ma una  discesa  lunga,un passaggio dal mondo del reale al mondo delle Meraviglie. Affronta la Regina di Cuori (chi di noi non l’ha affrontata almeno una volta?) e la sconfigge con la forza della consapevolezza e della fiducia in se stessa, una bambina con la consapevolezza di una donna capace di far crescere la sua personalità davanti a degli ostacoli.

Il contorno ipnotico del paesaggio ha incantato e incanta bambini e adulti da generazioni, con brucaliffi, fiori parlanti e tutto quell’onirico che riconduce all’inconscio di ognuno di noi. I giochi di parole, seri quanto divertenti e attuali: “Tu mangi tutto quello che vedi o vedi tutto quello che mangi?”

L’episodio, a dir poco famoso, del Cappellaio Matto e della Lepre Marzolina. Il complicato rapporto tra Uomo e Tempo, l’irraggiungibilità descritta come non mai, il desiderio di vivere nell’Aion, nell’infinito, nel Tempo del puro divenire, dell’evento in quanto tale; il suo rapporto con gli eventi è al di fuori di ogni causalità fattuale. Durante il tè del Cappellaio l’eterno desiderio dell’uomo di gestire il Tempo sembra realizzarsi; l’ora del tè si prolunga all’infinito, è sempre tutto pronto ed apparecchiato, ma il tè è sempre appena stato versato e non verrà mai bevuto. L’attimo che si cristallizza rappresenta anche l’incapacità di compiere l’azione, di vivere appieno, chi si ferma, chi si ferma nel percorso evolutivo, nella ricerca di se, il tè non lo prenderà mai.

Giulia Ventura



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