25 anni dall’addio a Massimo Troisi. Era nato a San Giorgio a Cremano il 19 febbraio del 1953 cittadina alle porte di Napoli, da Alfredo Troisi, macchinista ferroviario, e da Elena Andinolfi, casalinga. Crebbe in una famiglia molto numerosa; abitò nella stessa casa con i genitori, cinque fratelli, due nonni, gli zii e i loro cinque figli. Troisi si diplomò geometra all’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri “Eugenio Pantaleo” di Torre del Greco.
Nel 1972 a Troisi venne diagnosticata un’anomalia cardiaca che lo obbligò, nel 1976, a recarsi negli Stati Uniti per un intervento alla valvola mitralica; alle spese del viaggio contribuì una colletta organizzata, tra gli altri, dal quotidiano di Napoli Il Mattino. L’operazione venne eseguita a Houston dal professor Michael E. De Bakey ed ebbe buon esito, tanto è vero che Troisi riprese la sua carriera teatrale poco tempo dopo. Troisi non amava parlare della sua malattia, solo i familiari e gli amici intimi erano a conoscenza dei suoi problemi di salute.
Troisi cominciò la sua carriera di attore, dal 1969, nel teatro parrocchiale della Chiesa di Sant’Anna insieme ad alcuni amici d’infanzia (tra cui Lello Arena, Nico Mucci, Valeria Pezza). Successivamente il gruppo affitterà un garage in via San Giorgio Vecchio, 31 che verrà chiamato Centro Teatro Spazio, dove verranno rappresentati diversi spettacoli in stile pulcinellesco, al quale si aggiunge una commedia scritta dallo stesso Troisi: Si chiama Stellina.
Al gruppo si aggiungerà successivamente anche Vincenzo Purcaro, che più tardi cambierà il suo cognome in Decaro. Dopo il ritorno di Troisi dagli Stati Uniti, dove si era recato per l’intervento chirurgico, il gruppo del Centro Teatro Spazio si assottiglia e nasce quello de I Saraceni che, oltre all’attore napoletano, comprende anche Enzo Decaro e Lello Arena. In seguito il gruppo cambierà definitivamente nome in La Smorfia, voluto proprio dallo stesso Troisi in quanto « è un riferimento, tipicamente napoletano, a un certo modo di risolvere i propri guai: giocando al Lotto, e sperando in un terno secco… la “smorfia”, infatti, non è altro che l’interpretazione dei sogni e dei vari fatti quotidiani, da tradurre in numeri da giocare a lotto».
Dopo alcuni spettacoli al Teatro Sancarluccio di Napoli, il gruppo ha un rapido successo che gli consente di approdare prima al cabaret romano La Chanson e ad altri spettacoli comici in tutta Italia, poi alla trasmissione radiofonica Cordialmente insieme, e infine in televisione, dove il trio partecipa ad alcuni programmi tra i quali Non stop (1977), La sberla (1978) e Luna Park (1979). L’ultimo spettacolo teatrale del trio è Così è (se vi piace), citazione del Così è (se vi pare) di Luigi Pirandello.
Dopo aver lasciato la Smorfia, Troisi decise di intraprendere la carriera cinematografica. Il produttore Mauro Berardi gli propose un film di Luigi Magni, “‘O Re”, dedicato a re Francesco II di Borbone, che lui però rifiutò in favore di Ricomincio da tre, sempre prodotto da Mauro Berardi, pellicola nella quale debuttò sia come attore che come sceneggiatore e regista. Il film, acclamato dalla critica, permise a Troisi di ottenere tre Nastri d’argento per il miglior regista esordiente, miglior attore esordiente e per il miglior soggetto e due David di Donatello per il miglior film e per il miglior attore.
“Ricomincio da tre” lo consacrò nel mondo dei classici della commedia italiana e ancora oggi resta per tutti un capolavoro poetico di vita vissuta dove il protagonista Troisi, invitato a correggere il suo modo di dire sul ricominciare daccapo e cioè da zero, dice, al solito balbettando e strozzando la parola, “Nossignore, ricomincio da… cioè… tre cose me so’ riuscite dint’a vita, pecché aggia perdere pure chest? Aggia ricomincià da zero? Da tre!”.
Parlava solo napoletano in quanto sosteneva che era l’unica lingua che conosceva ma non si sentiva ristretto nei confini della lingua. La sua eloquenza era estremamente lenta, con voce modulata e frammentata da continui balbettii che strozzavano la parola fino a renderla incompleta, ma era immediatamente percepito e superava la difficoltà della conoscenza del napoletano. Anche la mimica di Massimo Troisi era per certi versi fuori dai canoni classici dell’espressione napoletana fatta di gesti della mano che quasi sempre accompagnano le parole. Lui gesticolava con la faccia che, come il balbettio della sua parola, si contraeva e si distendeva in un continuo ma lento alternarsi di momenti significativi di chi in silenzio dice “ha detto tutto…o no?”.
Massimo Troisi seguiva il suo cuore, un cuore che fin da quando era piccolo gli aveva segnato il destino per fare le cose con lentezza ma con travolgente partecipazione. Il suo cuore si fermò definitivamente a solo 41anni mentre ancora batteva per terminare le ultime scene de “Il Postino” tra Pantelleria e Procida in quei luoghi dove, come ci dice Neruda, la poesia non va spiegata ma va vissuta direttamente perché le emozioni arrivino ad ogni animo predisposto.
Chissà se Massimo se l’era segnato di dover morire nel sonno quel 4 giugno 1994, forse sì se andiamo con la mente alla formidabile battuta di “Non ci resta che piangere” quando al prete che lo incalzava di continuo per ricordargli che doveva morire rispose “Si, si …no. Mo’ me lo segno proprio. … non vi preoccupate!”.
A noi, purtroppo, non ci resta che piangere per la morte prematura e improvvisa di Massimo Troisi che riuscì a portare anche sul grande schermo quel cabaret come forma di un nuovo linguaggio di spettacolo.